Monitoraggio e manutenzione delle aree archeologiche: cambiamenti climatici, dissesto idrogeologico, degrado chimico-ambientale : atti del convegno internazionale di studi, Roma, Curia Iulia, 20-21 marzo 2019
In: Bibliotheca archaeologica 65
38 Ergebnisse
Sortierung:
In: Bibliotheca archaeologica 65
Uno dei problemi maggiori nello studio degli effetti dei cambiamenti climatici sulle popolazioni umane è senza dubbio il carattere fortemente multidisciplinare, che richiede un'analisi del fenomeno che incroci competenze e conoscenze che appartengono a diversi campi del sapere, come le scienze ambientali, per quanto riguarda i fattori scatenanti e le scienze sociali e giuridiche, per quanto riguarda le sue conseguenze. Alla luce di questi motivi il tema dei profughi climatici rappresenta un campo di ricerca interessante e ricco di molti spunti di riflessione, ma allo stesso tempo un'analisi complessa e non priva di una molteplicità di problemi epistemologici. Le principali difficoltà risiedono nella scarsità di documentazione e di letteratura sull'argomento. Nonostante non manchino gli studi ed i documenti prodotti dalle principali organizzazioni internazionali che si occupano di ambiente e migrazioni internazionali in tutte le forme e varianti, il mondo scientifico, e in modo particolare quello italiano, non sembra aver ancora preso seriamente in considerazione il tema delle migrazioni internazionali causate dal mutamento delle condizioni climatiche, sia per cause naturali che per il degrado dell'ambiente prodotto dall'inquinamento e da un uso distorto delle risorse terrestri. La complessità estrema del fenomeno pone una serie di interrogativi riguardo all'individuazione dei soggetti che possono essere ricondotti alla categoria suddetta e in merito alla possibilità di riconoscere una qualche forma di tutela giuridica internazionale a questa categoria di persone, per le quali, sul piano strettamente giuridico è ancora improprio l'utilizzo del termine 'rifugiati' per identificarli. Ad aumentare le difficoltà già elencate vi è poi la scarsa attenzione dimostrata sull'argomento dai paesi economicamente sviluppati in genere, ed in particolare i principali inquinatori, e la sempre crescente difficoltà da parte dell'occidente a rispondere ai problemi generati dai movimenti forzati di massa. Il mancato riconoscimento internazionale dei profughi climatici complica ulteriormente la questione. La Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati prevede che possa richiedere lo status di rifugiato chiunque si trovi "nel giustificato timore d'essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato" definizione che non lascia spazio alle cause ambientali come fattore di spinta degli spostamenti di popolazione. Il termine 'rifugiato ambientale', accettato orami a livello internazionale nel linguaggio comune, appare quindi improprio alla luce di questa considerazione e all'interno della comunità scientifica mondiale non è stato ancora sciolto il nodo di una definizione più propria soprattutto per la difficoltà di stabilire un legame diretto tra fattori ambientali e diversi casi di migrazioni internazionali massive. D'altra parte il termine "refugee" ha antica origine e diffusa circolazione: il fatto che dal 1951 implichi uno status non crea monopoli linguistici. Si può convenzionalmente accettare il suo utilizzo disciplinare critico e il suo utilizzo istituzionale limitato allo status connesso. Il suo significato resta sinonimo di "displaced", migrante forzato o costretto, con le sole specificazioni istituzionali dell'aver superato il confine e delle costrizioni previste dalla Convenzione nel 1951. L'aggettivo "environmental" non aiuta la definizione delle migrazioni e soprattutto non aiuta a chiarire la loro dimensione forzata. Rifugiato si, ma non "ambientale". La difficoltà forse sta proprio nel sostantivo, ambiente, che ha troppi usi e sinonimi nell'insostenibile sviluppo in cui siamo immersi. Le ricerche multidisciplinari sul fenomeno migratorio devono molto rivalutare la dimensione "ambientale" delle migrazioni. Le espressioni "environmental refugee" o "environmental migrants" o "environmental displaced people" possono essere utilizzate per sottolineare o distinguere la spinta a migrare connessa alle varie forme di inquinamento e di degrado ambientale, per le quali il riconoscimento scientifico della costrizione non è certo e il margine di libera scelta dei momenti e delle modalità è parzialmente maggiore. L'espressione "displaced people" diventa quella descrittiva di ogni migrazione forzata, qualunque sia lo Stato entro cui avviene o quanti e quali che siano gli Stati interessati. L'aggettivo "environmental" può invece risultare ridondante o superfluo, non classifica; meglio chiarire quale contesto geografico o climatico e quale specifica contestuale ragione socio ambientale. Serve uno strumento legale ONU dedicato al riconoscimento, alla prevenzione mirata, alla protezione e all'assistenza di profughi climatici. Sulla via del riconoscimento internazionale dei rifugiati climatici si frappone inoltre il timore di compromettere la sensibilità che già è stata acquisita nei confronti dei rifugiati tradizionali e il timore da parte di governi ed istituzioni di trovarsi in difficoltà nel mettere in atto misure di protezione e di reinserimento dei rifugiati provenienti da zone degradate e dovendo provvedere al loro sostentamento economico. Già nel 1999, con la pubblicazione del libro Environmental Exodus: An Emergent Crisis in the Global Arena , Norman Myers, professore di economia ambientale e consulente per le Nazioni Unite, metteva il luce le difficoltà incontrate dalla comunità scientifica mondiale sulla via di una definizione sia del fenomeno, sia del livello di tutela giuridica internazionale che dovrebbe essere riservata a questa categoria di persone. In particolare, per quanto riguarda la definizione, egli pone l'accento sulla necessità di soffermarsi sulla differenza tra " persone in condizioni modeste ma tollerabili in patria che cercano altrove la possibilità di una vita in condizioni economiche migliori" e quelle persone che migrano perché sono "spinte da fattori di base del degrado ambientale" condizione che appare come la caratteristica principale per definire il concetto di rifugiato ambientale. Sono stati proposti numerosi termini alternativi per classificare i rifugiati ambientali, tra cui "persone sfollate per motivi ambientali" e "emigranti costretti da motivi ambientali", che pur essendo precisi risultano assai meno efficaci e, in effetti, sono quasi ridondanti. Altri suggerimenti spaziano da "eco-migranti" e "eco-evacuati" a "eco-vittime"; però i primi due termini non connotano l'idea di migrazione coatta, mentre l'ultimo non suggerisce affatto l'emigrazione. Ad ogni modo queste persone, comunque le si voglia designare, sono un'ampia componente fra tutti gli altri rifugiati e, entro la prossima metà del secolo, potrebbero addirittura superare di varie volte il numero degli altri rifugiati. Myers propone quindi la seguente definizione: "I rifugiati ambientali sono persone che non possono più garantirsi mezzi sicuri di sostentamento nelle loro terre di origine principalmente a causa di fattori ambientali di portata inconsueta". Questi fattori comprendono siccità, desertificazione, deforestazione, erosione del suolo e altre forme di degrado del suolo; deficit di risorse come, ad esempio, quelle idriche; declino di habitat urbani a causa di massiccio sovraccarico dei sistemi; problemi emergenti quali il cambiamento climatico, specialmente il riscaldamento globale; disastri naturali quali cicloni, tempeste e alluvioni, e anche terremoti, con impatti aggravati da errati o mancati interventi dell'uomo. Possono concorrere fattori aggiuntivi che inaspriscono i problemi ambientali e che spesso, in parte, derivano da problemi ambientali: crescita demografica, povertà diffusa, fame e malattie pandemiche. Altri fattori ancora comprendono carenze delle politiche di sviluppo e dei sistemi di governo che 'marginalizzano' le persone in senso economico, politico, sociale e legale. In determinate circostanze, alcuni fattori possono fungere da 'scatenanti immediati' della migrazione, per esempio colossali incidenti industriali e costruzioni di dighe smisurate. Molti di questi fattori possono agire in concomitanza, spesso con effetti cumulativi. Di fronte ai problemi ambientali, le persone coinvolte ritengono di non avere alternative alla ricerca di sostentamento altrove, sia all'interno del loro paese che in altri paesi, sia su base semipermanente che su base permanente. Non c'è alcun motivo di pensare che chi fugge da condizioni di privazione estrema in conseguenza di collassi ambientali su vasta scala abbia una più attenuata percezione della propria marginalità sociale e una disperazione minore rispetto a chi fugge da oppressioni politiche o religiose. Non sta forse anch'egli cercando la stessa forma di sicurezza nel senso più definitivo del termine, ossia una sicurezza in grado di farlo sentire nuovamente accettato dalla società, in qualche luogo? Per decenni la scena è stata dominata dalle categorie di rifugiati che definiamo "convenzionali", ma ora è giunto il momento di abbandonare formule e definizioni che si rivelano troppo restrittive. Di fronte ai mutamenti che avvengono nel mondo reale non dovrebbero cambiare allo stesso modo anche le nostre categorizzazioni? Alla fine di questo primo approccio a ciò che si connota come un vero e proprio esodo ambientale, siamo già in grado di formulare una considerazione fondamentale: è necessario agire sui sintomi, prima che il problema inizi a causare effetti collaterali cui sarà tremendamente più difficile porre rimedio. Di diversa opinione appare invece il rapporto sul tema pubblicato dall' Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, che sottolinea l'importanza di non utilizzare il termine rifugiati per indicare categorie di persone diverse da quelle previste nella Convenzione di Ginevra. A livello italiano, si è parlato del fenomeno in relazione della mancata tutela giuridica di coloro che sono costretti ad emigrare per questo genere di cause e possono essere quindi oggetto di provvedimenti di espulsione, e nel caso dell'Italia del possibile trattenimento nei Centri di Identificazione ed Espulsione che precedono il rimpatrio. E' certo che storicamente vi è sempre stata una qualche correlazione tra cambiamenti climatici, disastri naturali, modificazioni del clima e flussi migratori, ma molti sono convinti che il deterioramento dell'ambiente prodotto dal cambiamento climatico porrà negli anni a venire il tema del 'rifugiato' climatico al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica e degli organismi internazionali. Questo è un elemento di novità che in relazione alla rapidità con la quale si sta evolvendo il processo di cambiamento climatico, rende un fenomeno millenario ricco di spunti di ricerca, di riflessione e di azione mirata. Le vittime delle conseguenze del surriscaldamento sono una categoria di migranti ancora sconosciuta ai più, priva di uno statuto ufficiale, ma destinata a crescere rapidamente. E a pagarne lo scotto ancora una volta sono i paesi più poveri ed in primis le zone costiere e le isole del Sud-est asiatico, in particolare il Bangladesh come vedremo, così come le aree in via di desertificazione dell'Africa sub sahariana. Senza più casa, costretti ad abbandonare la propria terra perché a rischio o perché modificata nella struttura e composizione, stravolta dai processi di desertificazione, stress idrico o innalzamento del livello del mare, e in attesa di futuro incerto fatto di piani di trasferimento e re-insediamento. La nuova ferita apertasi sulla pelle di questo millennio allarma e fa discutere, per poi scivolare nuovamente nel dimenticatoio mediatico, assecondato da un'opinione pubblica oramai sempre più immune al dramma del disastro. Si vuole quindi invitare alla presa di coscienza e alla riflessione non solo sul disastro ecologico irrefrenabile ma anche sulle conseguenze che lo stesso sta provocando e quindi su possibili riconoscimenti e nuove possibilità di sopravvivenza per queste persone al fine di permettere loro una vita sicura e dignitosa.
BASE
none ; In molti paesi sviluppati, drammatici cambiamenti nelle società e nelle strutture economiche si sono verificati nel corso degli ultimi anni. Questi processi implicano anche cambiamenti nella disponibilità di risorse naturali e nella configurazione del paesaggio con impatti sulla qualità dell'ambiente. A titolo di esempio, i cambiamenti avvenuti dal secondo dopoguerra ad oggi, nella struttura delle economie dei paesi Mediterranei hanno causato pressioni su ecosistemi fragili, soprattutto nelle aree più sensibili ed economicamente svantaggiate, e su territori tradizionalmente polarizzati. Tali cambiamenti, dovuti a cause bio-fisiche e antropogeniche destano una sempre maggiore attenzione nelle scienze sociali, discipline interessate a mettere in luce le possibili conseguenze del degrado degli ecosistemi sulla popolazione e sui sistemi economici, nonché la risposta delle società locali a tali cambiamenti. Incertezza e rischio vengono pertanto interpretati come concetti chiave di questo percorso interpretativo che riguarda, in modo integrato, le dinamiche economiche, i cambiamenti sociali e l'azione politica. Configurandosi come un problema sociale ed economico al tempo stesso, il degrado delle terre appare correlato al nostro sistema di produzione e consumo che si fonda su una nozione di progresso, a lungo predominante, incentrata sull'espansione quantitativa dei beni prodotti e del loro consumo, in base al principio secondo il quale la crescita economica comporterebbe automaticamente un aumento del benessere sociale. Ciò pone al centro dell'attenzione una riflessione sul nostro stesso modello di sviluppo e la necessità di un suo ripensamento in direzione della costruzione di un "benessere umano sostenibile". Quest'ultimo parte dal presupposto che il miglioramento delle condizioni di vita non dipende solo dalla disponibilità crescente di beni ma anche dall'equità distributiva della ricchezza prodotta e dalla riduzione degli impatti sull'ambiente, in modo da garantire la stabilità del benessere nel tempo, ...
BASE
Nel quadro complessivo delle politiche di Sviluppo Sostenibile e contrasto ai Cambiamenti Climatici si rende sempre più necessario avere a disposizione indicatori adeguati e relativi sistemi di monitoraggio, che vadano ad integrare e/o sostituire i sistemi "tradizionali". I dati utilizzati per l'implementazione dei sistemi di monitoraggio ed i relativi risultati devono, inoltre, essere ridistribuiti in modo trasparente e responsabile; in tale ottica i sistemi Open Source Geospaziali rappresentano una scelta quasi obbligata. In questo contesto, Regione Piemonte ha avviato alcune sperimentazioni nell'ambito della valutazione dei Servizi Ecosistemici e della loro evoluzione nel tempo finalizzata alla definizione di uno specifico indicatore da inserire nel piano di monitoraggio degli strumenti di pianificazione territoriale. La sperimentazione prevede l'utilizzo di immagini satellitari, disponibili in forma libera e gratuita, messi a disposizione dall'Agenzia Spaziale Europea (ESA) e da quella Statunitense (NASA) e la loro elaborazione attraverso l'uso di software liberi quali QGIS, GRASS, R ecc. L'analisi prevede l'elaborazione di una serie di immagini satellitari dalle quali verranno derivate delle mappe di indice spettrale. Gli indici individuati per essere utilizzati sono: NDVI (Normalized Difference Vegetation Index), un indice vegetazionale in grado di evidenziare la presenza di vegetazione a terra in quanto il suo valore è funzione dell'attività fotosintetica, e SAVI (Soil Adjusted Vegetation Index) che, a differenza di NDVI, include un fattore di correzione (L) per ridurre gli effetti del background del suolo (Huete, 1988), presente soprattutto in aree con minori densità di vegetazione (aree urbane, aree aride e semi aride, aree agricole). Le mappe di indice spettrale, verranno quindi confrontate tra loro e con altri indicatori utilizzati attualmente dagli strumenti di monitoraggio di corrente uso, al fine di individuare quelle in grado di descrivere con maggiore correttezza ed efficacia le grandezze ...
BASE
Dottorato di ricerca in Economia e territorio ; Un ruolo di sempre maggiore interesse ha assunto negli ultimi anni l'integrazione tra gli obiettivi economici e ambientali. Questo complesso connubio, infatti, trova larghi spazi di riflessione in ambito agricolo, dove le risposte economiche sono direttamente influenzate, oltre che dal mercato, anche dalle interazioni con l'ambiente e le risorse naturali. E' quindi della massima importanza identificare quali siano gli ambiti di impatto dell'attività agricola sull'ambiente e valutarne nel modo più affidabile la possibile entità con lo scopo di limitare i comportamenti che incidono in modo negativo sulle risorse naturali, promuovendo invece quelli che migliorano la qualità degli ecosistemi e la loro capacità di fornire servizi al settore stesso e alla collettività. Tuttavia la valutazione degli impatti ambientali dell'agricoltura, in particolare per quanto riguarda il contributo ai cambiamenti climatici, si è fino ad oggi concentrata al livello di settore, prioritariamente per il rispetto dei vincoli imposti dal protocollo di Kyoto, o al livello di prodotto, per finalità di certificazione e comunicazione ambientale implementate attraverso approcci di Life Cycle Assessment (LCA). Partendo da questo background, nel lavoro si è provato a definire con maggior dettaglio il ruolo ambientale dell'agricoltura, proponendo riflessioni e metodologie che favoriscano l'attivazione e la valutazione di interventi politici di tipo pubblico e di iniziative poste in essere da parte di privati. Le logiche con cui la Politica Agricola Comunitaria (PAC) affronta il rapporto fra agricoltura e ambiente sono fondamentalmente di due tipi: la definizione di requisiti cogenti che tutte le imprese sono chiamate a rispettare per accedere al sostegno di base (condizionalità) o l'erogazione di incentivi economici legati al miglioramento del sistema di gestione e/o produzione (misure agroambientali), che devono essere ridefinite alla luce delle nuove sfide comunitarie. Tali interventi per essere efficaci, in termini di risultati raggiunti, ed efficienti, in termini di ottimizzazione della spesa pubblica, devono basarsi su valutazioni affidabili degli impatti ambientali delle pratiche agricole e su come le diverse azioni possano effettivamente ridurli. Questo processo, per la natura stessa della PAC, ha come unità di riferimento l'azienda agricola che, come risultato delle valutazioni economiche dell'imprenditore, è il soggetto che determina gli effettivi livelli d'impatto dei processi agricoli sulle risorse ambientali. E' quindi necessario identificare delle metodologie affidabili e condivise in grado di produrre indicatori d'impatto che, applicati alla singola impresa, possano indirizzare gli interventi in modo coerente con le finalità del decisore politico. D'altro canto, le istanze provenienti dalla società, che si ripercuotono anche sulle scelte di acquisto dei consumatori, rendono le imprese del settore agricolo sempre più attente alle implicazioni ambientali del loro agire e alle modalità con cui informare il mercato dei comportamenti virtuosi che hanno adottato a questo riguardo. Questo lavoro propone una soluzione alla valutazione ambientale delle aziende agricole e costruisce un modello di stima che, a partire da alcuni dati strutturali, integra la componente economica e quella ambientale. Il modello valuta le performance ambientali legate ai flussi di gas climalteranti (emissioni ed assorbimenti) e prova a superarne i limiti metodologici proponendo un diverso approccio di stima basato su consumo e produzione di risorse naturali (bilancio ambientale). Tale approccio è stato testato su un primo caso di studio che, oltre a consentire una prima valutazione operativa della metodologia proposta, ha permesso di creare alcune simulazioni che mostrassero il legame che esiste nelle aziende agricole tra performance ambientali e economiche. I risultati hanno confermato i limiti di stima di una valutazione che tiene conto esclusivamente dei flussi di gas serra, mentre hanno evidenziato le opportunità che può offrire un bilancio ambientale che tiene conto della domanda di risorse naturali e dell'offerta di servizi ecologici da parte del sistema costituito dall'impresa agraria. Il lavoro, nel suo insieme, fornisce un approfondimento sulla valutazione del ruolo ambientale dell'agricoltura e propone una metodologia di stima che, attraverso un modello, ne verifica il contributo a livello di azienda agricola. Inoltre, integrando all'interno della valutazione ambientale anche la componente economica legata alla conduzione dell'azienda, rappresenta un approccio di analisi che potrebbe rivelarsi utile in una logica di greening, sia alle istituzioni, per indirizzare in modo più efficace i loro interventi, sia alle imprese, quale strumento per una migliore valorizzazione delle loro iniziative. ; The integration in between economic and environmental goals has been assumed more and more important role. This complex debate is very emphasized into agriculture, where the answers are directly influenced by the market and by the connections between environment and natural resources. Checking the impact of farming on environment and evaluating it in a more reliable way is one of the main issues this debate. The aim is to limit the negative behaviours on natural resources, promoting what increase ecosystems' quality; the results could provide services into the community and agriculture. Thus, the agricultural environmental impact evaluation on climate change has been target on sector level, following first the Kyoto Protocol, and on product level, following a Life Cycle Assessment approach with environmental declaration and certification goals. In this work has been defined in a more reliable way the environmental role of agriculture. Some methodologies have been provided for public support and private initiatives evaluation. The CAP analyses and set the relationship between agriculture and environment in two ways: all farms have to respect mandatory requirements to for accessing to public subsidies (direct payment), or they could respect voluntary requirements (agri-environmental measures) to reach other payments. The goal of these two perspective has been oriented on new CAP challenges. These objectives have to be reach trough an efficient public spending, a reliable evaluation of farming environmental impacts and analysing how decrease them. This process has, in the CAP, the farm level as unit, that is the character that determine the impacts on natural resources. To identify reliable methodologies that provide impact indicators is extremely important. These indicators have to be set on the single farm, they should address the initiatives coherently with the politic issues. Moreover, the civil society issues, that guide also the purchases, make the farms more an more careful on environmental behaviours and communications. This work provide a solution to environmental evaluation of farms and built an evaluation model that measures, starting from some framework data, the economic and the environmental side. The model evaluate the environmental performances linked to Green House Gasses (GHG) flux (emission and absorption) and exceeds the methodological limits providing a different approach based on production and consumption of natural resources (environmental balance). This approach has been tested on a first case study that provides a check on the methodological proposal and shows the link in between environmental and economic performances at farm level. The results confirm the limits on GHG flux evaluation while ratify the opportunities on environmental balance that takes into account the supply and demand on natural resources at farm level. This work provides a deepening on agriculture environmental evaluation and offers a methodology that, thought a model, verify the farm environmental contribution. Moreover it measures the economic and environmental performances at the same time, and provides a new approach useful in a greening perspective, for institutions and farms to address the initiatives.
BASE
Le relazioni ambientali che legano le comunità ai propri ambienti di vita e, soprattutto, l'identificazione e quantificazione dei benefici economici, sociali e culturali che le stesse traggono da essi in termini di servizi ecosistemici, sono divenute centrali nella pianificazione territoriale. La polarizzazione delle dinamiche di sviluppo attorno alle grandi città, tuttavia, continua a minare l'efficacia dei piani inibendo l'attivazione del capitale territoriale nelle aree rurali, definite al negativo 'aree interne'. I sistemi agro-forestali non sono più utilizzati, il capitale edilizio cade in disuso, le conoscenze e le pratiche di manutenzione del territorio non si tramandano e si perdono generando i 'paesaggi dell'abbandono'. I costi sociali degli attuali processi di produzione e di consumo divengono palesi e manifesti: dal dissesto idrogeologico, alla perdita di diversità biologica sino alla carenza dei servizi fondamentali di base per le comunità insediate (istruzione, sanità, mobilità, connettività virtuale — accesso a Internet). Nelle politiche pubbliche per le aree interne, tuttavia, l'approccio al governo delle trasformazioni territoriali non evolve e resta subordinato a fattori e domande esogene di crescita quantitativa, indifferenti alle specificità dei contesti e dei luoghi e alle loro interazioni. In risposta all'attuale policy-making, alcune comunità unitamente al mondo accademico lavorano per costruire modelli alternativi di pianificazione, basati sulla riscoperta e la valorizzazione delle produzioni tradizionali e delle pratiche sociali ad esse connesse, intese come ambiti spaziali allargati di beni comuni. Partendo dal concetto stesso di 'area interna' e dalle modalità con cui esso è stato declinato nella pianificazione passata, il contributo propone una riflessione sui modelli adottati nelle politiche pubbliche e nella pianificazione ordinaria e sulle loro relazioni con altri modelli alternativi bottom-up per lo sviluppo locale analizzando, attraverso l'esperienza sarda, il loro potenziale supporto all'ammodernamento delle politiche per lo sviluppo locale e per il governo del territorio.
BASE
Le condizioni climatiche delle regioni mediterranee, caratterizzate da frequenti annate siccitose, contribuiscono all'indebolimento degli ecosistemi forestali. Come risultato le foreste riducono le loro capacità produttive e sono più soggette a fenomeni di degrado secondario. Inoltre i contesti economico-sociali possono acuire il degrado con la diffusione di uno scorretto uso della risorsa (tagli boschivi, pascolamento) e con la diffusione degli incendi boschivi. L'obiettivo generale del progetto è preservare i sistemi forestali in ambiente mediterraneo dai rischi derivanti dai cambiamenti climatici, tramite processi di naturalizzazione, aumento di biodiversità e migliorata reattività, nei processi di recupero, in seguito ad eventi destabilizzanti. Obiettivo specifico è implementare una politica forestale regionale in grado di aumentare la capacità di resilienza delle foreste siciliane, migliorandone l'efficienza ecosistemica e favorendo la salvaguardia della biodiversità. Tra le azioni principali previste dal progetto, che si concluderà alla fine del 2015, si possono citare la classificazione delle categorie forestali siciliane in funzione della sensibilità alla desertificazione, l'indagine diacronica sull'uso e copertura del suolo dei principali paesaggi forestali siciliani, la definizione di prassi selvicolturali specifiche; la realizzazione di 120 ettari di interventi dimostrativi in 6 aree della Sicilia; la realizzazione di 6 piani di indirizzo forestali attraverso processi partecipativi con le popolazioni locali. Nella fase finale del progetto è prevista l'implementazione delle linee strategiche sperimentate con ResilForMed nel Piano Forestale Regionale della Sicilia.
BASE
Dottorato di ricerca in Ecologia e gestione sostenibile delle risorse ambientali ; Oceans play a fundamental role in the climate balance and change both physically, through heat transport and water masses exchanges, and chemically, interacting in the carbon cycle through the photosynthesis and the biological pump. Knowledge and understanding are the keys to sustainable development and good ocean governance, as required by international organizations and european maritime policy. Everyday new technologies emerges in all marine science sectors to facilitate the understanding of marine life, to promote traditional maritime sectors and to provide solutions to prevent and forecast climate change and marine pollution. Unfortunately there is a structural lack of observational networks for open oceans and coastal seas and a limit to physical domain. The knowledge of the oceans is stringly limited by the observational capacity, consequently the development of new sensors and platforms contributes to the extension of measuring capacity of marine phenomena. My research work shows new low-cost sensors and probes developed to measure marine temperature, conductivity, chlorophyll a and CDOM fluorescences, turbidity, focusing both on sensing strategies, general architecture and laboratory trials and on the different application during several oceanographic surveys in the Mediterranean Sea. These technological solutions were designed for the implementation of oceanographic monitoring networks to contribute to the understanding of physical and biological marine processes. ; Gli oceani giocano un ruolo chiave nel bilancio e nei cambiamenti climatici sia dal punto di vista fisico, attraverso il trasporto di calore e gli scambi tra le masse d'acqua, che dal punto di vista chimico, interagendo nel ciclo del carbonio attraverso la fotosintesi e la biological pump. La conoscenza e la comprensione di questi processi complessi sono la chiave attraverso cui accrescere lo sviluppo sostenibile e la buona gestione dell'oceano, come richiesto dalle organizzazioni internazionali e dalla politica marittima europea. Ogni giorno emergono nuove tecnologie in tutti i settori della scienza marina con lo scopo di facilitare la comprensione della vita marina, promuovere i settori marittimi tradizionali e fornire una serie di soluzioni per prevenire e prevedere i cambiamenti climatici e l'inquinamento marino. Purtroppo c'è una lacuna strutturale nelle reti osservative sia negli oceani aperti che nei mari costieri, limitate spesso al solo dominio fisico. Ma la conoscenza degli oceani è strettamente limitata dalla capacità di osservazione, di conseguenza lo sviluppo di nuovi sensori e piattaforme di misura può contribuire all'estensione della capacità di misura dei fenomeni marini. Il mio lavoro di ricerca mostra nuovi sensori e sonde a basso costo per la misura di temperatura, conducibilità, fluorescenza di clorofilla a e CDOM, torbidità, con un focus particolare sulle strategie di rilevamento, sull'architettura generale e sulle prove di laboratorio, nonchè sulla loro applicazione durante diverse indagini oceanografiche Mar nel Mediterraneo. Queste soluzioni tecnologiche sono state progettate per l'implementazione di reti di monitoraggio oceanografiche che possano contribuire alla comprensione dei processi marini sia fisici e che biologici.
BASE
L'inquinamento atmosferico continua a essere un'emergenza e uno dei maggiori fattori di rischio ambientale per la salute umana. L'impiego nel campo della ricerca, in quello della tecnologia dei mezzi di trasporto, la razionalizzazione del modal split nel contesto urbano, l'inasprimento della normativa nell'accettazione di veicoli vetusti o scarsamente soggetti a manutenzione hanno fatto si che le emissioni di molti inquinanti atmosferici siano diminuite in modo sostanziale negli ultimi anni, determinando una migliore qualità dell'aria ambiente. Nonostante questo, per la complessità del fenomeno inquinamento atmosferico che comporta l'ormai ben nota mancanza di relazione lineare tra emissioni e concentrazioni in aria, i livelli di alcuni inquinanti risultano sempre troppo elevati e i problemi legati alla qualità dell'aria persistono. Una parte significativa della popolazione, soprattutto nelle grandi aree urbane, è esposta a livelli elevati di inquinanti, superiori ai limiti fissati dalla normativa in vigore (Direttive 2008/50/CE e 2004/107/CE, D.Lgs. 155/2010). Se si prendono poi in considerazione le indicazioni più cautelative dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l'esposizione della popolazione sale a livelli ancora più preoccupanti. È stato stimato che il 90% della popolazione che vive in aree urbane europee è esposta a livelli di inquinanti atmosferici non sicuri. Numerosi sono gli studi epidemiologici che documentano scientificamente gli effetti sanitari, acuti e cronici, dell'inquinamento atmosferico, tali effetti vanno dai sintomi respiratori alla morbosità e mortalità per cause respiratorie, cardiologiche e tumorali. Lo sviluppo demografico, l'espansione delle grandi conurbazioni e l'accentramento dei servizi e attività nei centri urbani hanno favorito l'incremento e la concentrazione veicolare, sia spazialmente che temporalmente. I problemi della circolazione e della mobilità rappresentano ai giorni nostri uno dei temi più sentiti dalla collettività. I tempi impiegati per gli spostamenti e le distanze di percorrenza tendono sempre più a dilatarsi, come conseguenza della sempre maggiore dispersione dei luoghi di lavoro, di residenza e di svago. Le conseguenze dell'incremento della mobilità sono misurabili direttamente sulle strade: aumentano gli incidenti, peggiorano costantemente le condizioni dell'ambiente in cui viviamo. Questo perché alla crescita delle esigenze della mobilità non ha risposto un equilibrato miglioramento del sistema di offerta, cioè delle infrastrutture, dei servizi e delle regolazioni per il trasporto pubblico e privato. Questo squilibrio si è riversato in misura invasiva nelle nostre strade e nella nostra vita, creando situazioni di congestione del traffico conseguentemente l'accentuarsi del deterioramento della qualità dell'aria. Il conflitto paradossale tra lo sviluppo del sistema dei trasporti e la salvaguardia dell'ambiente, a partire dalle corrette e necessarie tutele poste a garanzia della salute pubblica, ha portato i dirigenti governativi comunitari a ridefinire i parametri di tollerabilità degli agenti inquinanti e a promuovere politiche orientate ad una mobilità sostenibile. I sistemi di trasporto su gomma, più diffusi e distribuiti sulla popolazione in maniera capillare, sono causa di numerose pressioni sull'ambiente, tra cui le emissioni in atmosfera che risultano marcatamente dannose per l'ambiente e per la salute dell'uomo. Per valutare come questo fattore di pressione agisce sullo stato dell'ambiente atmosferico è necessario utilizzare strumenti conoscitivi integrati, consolidati, confrontabili e affidabili in modo da consentire una caratterizzazione del territorio nel suo complesso. In questo contesto si inserisce il presente lavoro che si è posto l'obiettivo di approfondire le correlazioni esistenti tra il traffico veicolare e le concentrazioni inquinanti nocivi ad esso associato in ambito prettamente urbano utilizzando dei modelli per la stima di quest'ultimi per poi confrontarli con i dati rilevati della rete di monitoraggio presente nella città. Il monitoraggio dell'inquinamento atmosferico condotto per mezzo di centraline permette di conoscere in maniera molto precisa la concentrazione delle sostanze prese in considerazione e di effettuare confronti tra stazioni anche lontane tra loro. Tale metodo, tuttavia, viene generalmente applicato per il rilevamento di un ristretto numero di sostanze (CO, SO2, NOx, NMCOV, composti organici volatili non metanici, O3, polveri), rispetto alla molteplicità dei contaminanti immessi nell'atmosfera (composti aromatici, metalli pesanti, etc.). Inoltre, per loro natura, le reti non sono in grado di fornire informazioni relative a tutte le aree in cui non sono disponibili i misuratori o di stimare l'approssimarsi dell'evento critico. In tale contesto si inserisce la problematica urgente di adottare una pianificazione dei trasporti nel solco di una più ampia pianificazione territoriale e urbanistica, volta ad implementare quei sistemi informatizzati di gestione e regolazione del traffico veicolare, al fine di incrementare i livelli di deflusso veicolare e innalzare la sicurezza e la qualità della vita dei soggetti coinvolti. Per un approccio più completo e sintetico della valutazione dello stato di degrado ambientale risulta particolarmente utile affiancare, alle reti suddette, strumenti di simulazione (modelli), che siano in grado di riprodurre l'emissione, il trasporto e la diffusione degli inquinanti in atmosfera. Pertanto nell'ambito di queste considerazioni di carattere generale, lo studio di questa tesi è stata sviluppata al fine di approfondire e stimare, attraverso l'utilizzo di uno specifico software (COPERT IV), la parte relativa alle emissioni inquinanti prodotte dal traffico veicolare in ambito prettamente urbano. Infine, nell'ultimo capitolo, si è investigato sul potenziale di un ampio spettro di misure di mobilità sostenibile al fine di enucleare un insieme di campi d'azione innovativi, e potenzialmente promettenti, per la ridefinizione di logiche di governo della mobilità a scala urbana maggiormente orientate a obiettivi di sostenibilità ambientale. Attraverso un'approfondita lettura di numerose e differenti esperienze maturate in realtà italiane, europee ed extraeuropee, si è pervenuti alla realizzazione di una guida agli interventi di gestione del traffico e della mobilità che possa essere utilizzata per orientare preventivamente nella scelta delle alternative che l'esperienza, specie internazionale, mette a disposizione. Infatti, pur disponendo di numerose misure che consentono di ridurre la congestione e controllare il funzionamento dei sistemi di trasporto urbano, l'efficacia ed i costi dei diversi provvedimenti possono variare da caso a caso e produrre differenti risultati, oltre che incidere diversamente sui vari soggetti e sulle parti economiche e sociali. La complessità intrinseca dei sistemi, per non parlare delle condizioni sociali e politiche specifiche di ogni contesto, consente di trarre conclusioni valide solo per alcune specifiche circostanze e di ragionare esclusivamente per analogia, specie quando le problematiche non vengono affrontate radicalmente e alla nascita del fenomeno.
BASE
Dottorato di ricerca in Scienze, tecnologie e biotecnologie per la sostenibilità ; In Anthropocene, an era characterized by heavy human pressures on earth, biological assets are increasingly exposed to environmental changes. In particular, plants are required to detect and respond to environmental drivers, modify their functionality, and ultimately provide important goods and services. With this in mind, it was implemented a multi-scale experimental approach to study risks, opportunities and challenges related to the role of greenspaces in urban contexts, with the final aim to enhance human health and wellbeing. In this case, the multi-scale approach consists in studying the impact of environmental pollution through space and time from single-cell to landscape scale. On one hand, the investigation in controlled conditions enables localization and quantification of particulate matter (PM) accumulation in plant tissues of target tree species, as well as highlighting related changes in physiological processes. On the other hand, the biomonitoring approach allows the spatial detection of pollutant signals and, combined with dendrochemistry, the retrospective analysis of the effect of pollutants in trees in urban ecosystem. At the same time, the prompt assessment of the extension, structure and function of greenspaces at broad scale (e.g., national), through innovative approaches, further enhances the possibility of including the previous physiological outcomes, in real policy and planning processes. The results provided useful information to support the implementation of Nature-Based Solution in the urban environment. ; Nell'Antropocene, l'era nella quale l'uomo e le sue attività sono la causa principale dei forti cambiamenti ambientali, le piante assumono un ruolo sempre più indispensabile, perché in grado di rispondere alle variazioni ambientali, modificare la loro fisiologia e fornire importanti beni e servizi. Sulla base di questo, è stato implementato un approccio sperimentale multiscala per studiare i rischi, le opportunità e le sfide degli spazi verdi nell'ambiente urbano, con l'obiettivo finale di migliorare la salute ed il benessere dell'uomo. L'approccio multiscala considera l'impatto dell'inquinamento atmosferico dalla singola cellula alla scala di paesaggio. Da un lato, l'analisi in condizioni controllate ci ha permesso di misurare l'impatto del particolato su piante target e verificarne gli effetti fisiologici. Dall'altro, l'analisi dendrochimica del legno di piante presenti nei contesti urbani ha permesso di biomonitorare nel tempo e nello spazio l'inquinamento ambientale. Questa capacità delle piante di accumulare inquinanti fornisce importanti premesse per valutare l'efficacia degli spazi verdi in ambiente urbano. Allo stesso tempo, la valutazione dell'estensione, struttura e funzione degli spazi verdi a più ampia scala (paesaggio), attraverso un approccio innovativo, accresce ulteriormente la possibilità di includere questi risultati nelle politiche e nei processi di pianificazione. I risultati di questa ricerca hanno fornito informazioni utili a sostegno dell'implementazione della Nature-Based Solution nell'ambiente urbano.
BASE
2009/2010 ; Considerazioni sul problema dei Rigassificatori tra Aggregazione del Consenso e Conflitto Ambientale 1. Il nostro Paese, per scelta politica e per una sostanziale limitata capacità di innovazione del mondo industriale, ha una quota attuale di produzione di energia da fonti rinnovabili poco significativa nonostante gli investimenti, i contributi e le agevolazioni fiscali che dovrebbero incentivare opportunamente ad esempio, l'utilizzo dell'energia solare che rappresenta una peculiarità del nostro territorio. Devono essere attuate velocemente le scelte strategiche e programmatiche che permettano di guardare al futuro, caratterizzato da una già quantificata scarsità di fonti fossili, con sufficienti margini di prevedibilità e di sostenibilità dello sviluppo, gli obiettivi da raggiungere entro il 2015 per il fabbisogno energetico nazionale dovrebbero essere quantificati nel 25% da fonti di energie rinnovabili, il 25% di energie da fonte nucleare e il rimanente 50% da fonti energetiche tradizionali. In attesa di potenziare la produzione di energia da fonti rinnovabili, come il solare, sarà scelta obbligata la costruzione di infrastrutture energetiche tradizionali, tra cui la necessità di dotarsi di alcuni terminali di rigassificazione con progetti attentamente valutati sia per la logistica che per la dislocazione, la riduzione degli impatti ambientali (non dimentichiamo la vocazione turistica del nostro paese), la massimizzazione delle ricadute per l'area interessata in termini di indotto e occupazione. Infatti, la flessibilità, offerta dal Gas Naturale Liquefatto, rappresenta un fattore di successo non solo per la diversificazione delle fonti, ma anche per la maggiore possibilità di modulare gli approvvigionamenti. Benché l'Italia sia tra i Paesi meglio posizionati per ricevere gas via tubo, la realizzazione di nuovi terminali di rigassificazione consentirebbe di potenziare la capacità di ricezione del sistema, incrementandone la flessibilità, con il risultato non solo di diversificare le fonti di approvvigionamento, ma anche di favorire la concorrenza, agevolando l'ingresso nel mercato di nuovi operatori e riducendo la possibilità di "colli di bottiglia" dal lato dell'offerta. La tecnologia del GNL consente ai Paesi non collegabili per motivi logistici ai mercati di consumo tramite i tradizionali gasdotti, di esportare la materia prima che altrimenti rimarrebbe non sfruttabile. La tecnologia di liquefazione ha permesso uno sviluppo accelerato dell'utilizzo del gas a livello globale: già oggi il GNL rappresenta circa il 25% degli scambi internazionali di gas. In Italia, invece, il GNL rappresenta oggi solo il 5% del gas importato, ma è destinato a giocare un ruolo crescente, diversificando le fonti tradizionali di importazione e quindi aumentando la sicurezza e la competitività degli approvvigionamenti. Il Gas Naturale è indispensabile al mondo moderno, in quantità sempre maggiori e la sua produzione, il suo trasporto, lo stoccaggio e la sua distribuzione non possono che essere effettuate in condizioni di sicurezza crescente ed a costi tendenzialmente moderati. Il mercato del gas naturale è forse quello che presenta maggiori complessità e profili particolarmente sensibili dal punto di vista ambientale, tecnologico ed economico. Queste complessità si traducono nell'esigenza di contemperare varie esigenze, tutte meritevoli di tutela ed attenzione, ed il quadro normativo che ne risulta pone non pochi problemi interpretativi ed applicativi agli operatori. La localizzazione, la costruzione e l'esercizio di un grande impianto di rigassificazione può portare vantaggi o disagi alla popolazione residente o non residente nell'area che ospiterà il rigassificatore. I vari profili connessi alla sua realizzazione si sono progressivamente fatti spazio nella legislazione di settore fino a rispecchiarsi, in vario modo, in vere e proprie fasi del procedimento autorizzativo. L'accettabilità sociale dei terminali di rigassificazione da parte delle comunità locali è uno dei fattori condizionanti la realizzazione di infrastrutture diventate una delle priorità dell'agenda politica italiana. La capacità di comprendere e interagire con le dinamiche di conflitto ambientale che si sviluppano intorno ai progetti di realizzazione di infrastrutture energetiche da parte dei diversi attori coinvolti, è un fattore cruciale che appare ancora fortemente sottovalutato. Tale capacità chiama in causa il rapporto delle imprese con il territorio in cui operano e, in questa prospettiva, l'uso che viene fatto degli strumenti di informazione e partecipazione che sono presenti nei procedimenti autorizzativi. La sottovalutazione circa il ruolo di questi strumenti è sicuramente uno degli elementi che hanno reso particolarmente critico l'andamento dei processi autorizzativi dei terminali di rigassificazione. Il corretto ed efficace uso di questi strumenti, che coinvolge gli attori pubblici con ruoli determinanti nei processi decisionali, le imprese proponenti e il pubblico interessato dovrebbe essere una preoccupazione prioritaria sia della pubblica amministrazione che delle imprese. Bisogna provare a cambiare mentalità ed atteggiamento verso nuove iniziative, nuovi progetti, nuove tecnologie e nuove idee. E' necessario superare la c.d. sindrome di NIMBY (acronimo inglese per Not In My Back Yard, lett. "Non nel mio cortile") e l'atteggiamento che si riscontra nelle proteste contro opere di interesse pubblico che hanno, o si teme possano avere, effetti negativi sui siti in cui verranno realizzate, come ad esempio grandi opere pubbliche. L'atteggiamento consiste nel riconoscere come necessari, o comunque possibili, gli oggetti del contendere ma, contemporaneamente, nel non volerli nel proprio territorio a causa delle eventuali controindicazioni sull'ambiente locale. Sarà questa la sfida da affrontare in futuro: aggregare il consenso per opere come i Rigassificatori. Opere che non sono rinviabili nel quadro della razionalizzazione dell'uso delle fonti energetiche intesa come risparmio e riduzione progressivi della dipendenza nazionale da paesi terzi. 2. Il problema dei rigassificatori non è un problema locale, poiché dovrebbe essere inquadrato nelle scelte strategiche che interessano in primo luogo il piano energetico nazionale (PEN). Tale piano, di fatto, è obsoleto e non aggiornato, e nello stesso manca di una visione strategica degli investimenti e delle diverse forme di approvvigionamento del paese (combustibili fossili, idroelettrico, geotermico, eolico, solare e da ultimo nucleare previsto nel programma dell'attuale governo). In merito al fabbisogno di approvvigionamento di gas metano, difatti, non esiste un piano che preveda il numero necessario di rigassificatori ed una corretta pianificazione sull'ubicazione degli stessi. Oggi la pianificazione è fatta dalle società private e lo Stato è soggetto passivo che deve solo esprimersi sulla compatibilità ambientale di detti impianti, senza un intesa tra i vari ministeri (Ambiente, Sviluppo Economico, Economia, Lavori Pubblici, Rapporti Comunitari ecc), denotando, perciò, un deficit di coordinamento. 3. In Friuli Venezia Giulia, esiste un Piano Energetico Regionale (PER) che è stato approvato con Decreto del Presidente della Regione 21 maggio 2007, n. 0137/Pres. (Legge regionale 30/2002, art. 6). In tale piano non sono evidenziate le scelte pianificatorie sulla costruzione in Regione di impianti di rigassificazione e non si fa riferimento specifico alla costruzione di impianti di rigassificazione, che sembra lasciata a "scenari di offerta spontanea" come definiti dal piano. La Regione FVG, al fine di favorire la diversificazione delle fonti energetiche, ha inserito nel Piano Territoriale Regionale (PTR) la possibilità di insediare impianti di rigassificazione all'interno delle zone industriali programmatiche regionali e negli ambiti portuali. Detti impianti non sono previsti dal PER pur non essendo esclusi dal PTR. In base al Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, i progetti devono essere sottoposti a Valutazione Ambientale Strategica e a Valutazione d'Impatto Ambientale, rientrando gli impianti nell'applicazione del combinato disposto degli articoli 6 e 7 del citato decreto. In particolare: l'art. 25 prevede che la competenza sui progetti di opere ed interventi sottoposti ad autorizzazione statale e per quelli aventi impatto ambientale interregionale o internazionale, spetta al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali; l'art. 26 prevede altresì che il committente o proponente l'opera o l'intervento deve inoltrare all'autorità competente apposita domanda allegando il progetto, lo studio di impatto ambientale e la sintesi non tecnica. Copia integrale della domanda di cui al comma 1 e dei relativi allegati deve essere trasmessa alle regioni, alle province ed ai comuni interessati e, nel caso di aree naturali protette, anche ai relativi enti di gestione, che devono esprimere il loro parere entro sessanta giorni dal ricevimento della domanda. Decorso tale termine l'autorità competente rende il giudizio di compatibilità ambientale anche in assenza dei predetti pareri. Un caso concreto in Friuli Venezia Giulia: il progetto "Zaule" relativo alla costruzione di un impianto di rigassificazione, sito nel Vallone di Muggia, progetto presentato dalla multinazionale "Gas Natural". Su di esso si sono espressi i seguenti enti: a. Parere Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza prot. n01020/15.0 di data 25.02.2005; b. Conferenza del 19.10.2005 convocata dalla Pianificazione Regionale, Energia, Mobilità e Infrastrutture di Trasporto delle Regione Friuli Venezia Giulia. Enti invitati presenti: Ministero dell'Ambiente - Servizio VIA (Valutazione Impatto Ambientale), Ministero delle Infrastrutture e Trasporti –Capitaneria di Porto, Agenzia delle Dogane, Ministero dell'Interno Vigili del Fuoco, Autorità Portuale di Trieste, EZIT, Comune di Trieste, Provincia di Trieste. Enti invitati assenti:Ministero delle attività produttive, Ministero dei beni culturali - Soprintendenza, Ministero della Salute. (Comune di Muggia non invitato); c. Delibera del Consiglio Comunale di Muggia n° 31 di data 26 maggio 2006 e n2. di data 18 gennaio 2007; d. Delibera del Consiglio Comunale di San Dorligo di data 17 gennaio 2007; e. Delibera del Consiglio Comunale di Trieste di data 18.01.2007; f. Delibera della Giunta Regionale del Friuli Venezia Giulia n01996 di data 25.08.2006. Dai pareri e delibere sopra riportati, si evidenziano la positività o negatività al progetto di cui sintetizzo alcune motivazioni: a. Parere negativo espresso dal Ministero per i Beni e le attività culturali – Soprintendenza prot. n01020/15.0 di data 25.02.2005, con le seguenti motivazioni: degrado paesaggistico, modifiche linee di costa ed anche alla sola costruzione del pontile di attracco delle navi metaniere, illogico sovrapporre ulteriore degrado al degrado esistente; b. Conferenza del 19.10.2005 - Segnalazione del sindaco di Trieste sull'opportunità di invitare alle successive riunioni anche il Sindaco di Muggia. Potrà essere ammesso ma senza diritto di voto. La società proponente illustra il progetto. Il Ministero dell'ambiente fa presente che è propedeutica a qualsiasi attività l'approvazione del piano di bonifica delle aree interessate, che la società non ha presentato formale istanza di VIA al Ministero, precisa inoltre che la VIA dovrà essere eseguita sia per le parti a mare che a terra compreso collegamento gasdotto alla rete nazionale. Dovrà essere inoltre richiesta una variante al Piano Regolatore Portuale, previo assenso del Ministero LL.PP.; c. Le deliberazioni del Comune di Muggia - nn. 31 e 1 datate rispettivamente 26 maggio 2006 e 18 gennaio 2007 - hanno bocciato il progetto onshore di rigassificazione GNL " Gas Natural Intemational SDG" per motivazioni legate a fattori di sicurezza, ambientali, socio economici e a carenze progettuali. La seconda delle due delibere aggiunge la mancanza di tempo necessario per esaminare un così complessa e copiosa documentazione. Per gli stessi motivi le deliberazioni del Consiglio Comunale di Muggia n. 30 di data 26 maggio 2006 e n. 2 di data 18 gennaio 2007 hanno espresso un parere non favorevole al terminale offshore di rigassificazione; d. La delibera del Comune di San Dorligo della Valle ha espresso in data 17 gennaio 2007, all'unanimità parere non favorevole sulla compatibilità ambientale del progetto del rigassificatore della Gas Natural di Zaule. Tra i motivi del "no" vi sono il cambiamento nel progetto che indica in un condotta sottomarina fino a Grado il sistema del trasporto del gas, il perdurare dei timori sulla sicurezza, ma anche la mancanza di tempo per un approfondimento puntuale della documentazione presentata; e. Delibera del Consiglio Comunale di Trieste di data 18.01.2007 in merito alla pronuncia di compatibilità ambientale del progetto – con cui è stato espresso parere negativo con le seguenti motivazioni: progetto carente della "prospettazione del rapporto tra costi preventivati e benefici stimati" (analisi costi-benefici); f. Delibera della Giunta Regionale del Friuli Venezia Giulia n01996 datata 25.08.2006 in merito alla Valutazione d'impatto ambientale - non si esprime parere perche' di non competenza regionale ma si evidenziano al ministero tutta una serie di carenze documentali e progettuali chiedendo integrazioni. Le principali carenze del progetto della Società Gas Natural in esame, riportate nella relazione istruttoria del Servizio Valutazione Impatto Ambientale della Regione riguardano i seguenti punti: • Quadro programmatico: effetti sul versante dell'offerta e dei consumi di gas e quindi sulla contemporanea presenza di altri impianti, sul sottoutilizzo di detti impianti, effetti sul traffico marittimo, ragioni della scelta del sito rispetto ad altre soluzioni, connessioni delle attività di programmazione con sito inquinato, compatibilità con il piano regolatore di Trieste e del Porto, ricaduta sulle attività di pesca, sul turismo e sulla nautica da diporto. • Quadro progettuale:ragioni della scelta sotto il profilo dell'impatto ambientale, analisi dei costi benefici, numero degli occupati nella fase di esercizio, attività economiche esistenti (turismo, pesca, traffici marittimi) per l'intero ciclo di vita dell'impianto proposto. • Quadro ambientale: In generale: attività correlate alla bonifica del sito inquinato a mare e a terra afferente alla realizzazione dell'impianto; Suolo e sottosuolo: posizionamento dei cantieri, impatti causati dalla realizzazione del terminal, provenienze e destinazione dei materiali di risulta (scavi, dragaggi), provvedimenti ed azioni di mitigazione dell'impatto ambientale; Ambiente marino e costiero: descrizione e distribuzione popolazioni ittiche, dati meteomarini del golfo (venti, correnti, geometria della costa, batimetrie, moto ondoso, ecc.), descrizione situazione ex-ante impianto, definizione modello di dispersione scarichi acque clorate, effetti diretti ed indiretti attività a medio-lungo periodo, alternative alla clorazione dell' acqua, impatti sull'ecosistema marino dei dragaggi, impatti sull'ecosistema dovuto alla movimentazione delle gasiere; Atmosfera: dati meteoclimatici, studi approfonditi, descrizione relativa situazione ex-ante, emissioni in atmosfera, ecc.; Rumore: valutazione dell'impatto del rumore, studi ad hoc ai fini della valutazione del progetto, descrizione relativa situazione ex-ante, analisi dei rumori provocati dai cantieri e dal successivo esercizio dell'impianto; Paesaggio: simulazioni visive dell'intero impianto di giorno e di notte, soluzioni mitigatrici; Aspetti relativi alla sicurezza: impatti derivanti dai possibili rischi (tecnologici, di funzionamento nelle fasi di esercizio e manutenzione, atti terroristici, ecc.), anche in correlazione con gli altri impianti esistenti, quantificazione in particolare del rischio derivante dalla collisione delle metaniere con altre navi, indicazione dei sistemi di controllo del traffico marittimo. 4. Il Piano energetico regionale (PER), già citato sul punto 3, è lo strumento di pianificazione primaria e di indirizzo fondamentale per le politiche energetiche regionali. Esso riveste un ruolo di primo piano nello sviluppo socio-economico della regione, e per questo è essenziale il suo raccordo con la programmazione economica regionale. È quindi essenziale che la Regione individui i punti di forza e fissi gli interventi prioritari in materia di energia che forniscano valide indicazioni per una pianificazione integrata delle risorse in una visione d'azione intersettoriale: l'energia è occasione per cogliere le opportunità di crescita del territorio. L'energia, in quanto motore di sviluppo economico e sociale, rappresenta quindi un tema strategico per l'azione di governo del Friuli Venezia Giulia. La liberalizzazione e privatizzazione dei mercati dell'elettricità e del gas, sancita con i decreti "Bersani" del 1999 e "Letta" del 2000, e la progressiva devoluzione di competenze dallo Stato alle Regioni nella logica del principio di sussidiarietà, a partire dalla riforma Bassanini sino a quella costituzionale del Titolo Quinto, hanno inciso in modo significativo e determinante sulla competenza delle Regioni. Con la riforma costituzionale del Titolo Quinto alle Regioni è stato attribuito in materia di energia un ruolo nuovo e attivo, affidando alle stesse la potestà legislativa concorrente su produzione, trasporto e distribuzione nazionale di ogni forma di energia, lasciando allo Stato il potere di legiferare sui principi generali (sicurezza nazionale, concorrenza, interconnessione delle reti, gestione unificata dei problemi ambientali). Le amministrazioni regionali hanno quindi potuto, a seguito di tale nuovo scenario normativo, utilizzare i loro piani energetici come strumenti attraverso i quali predisporre un progetto complessivo di sviluppo dell'intero sistema energetico, coerente con lo sviluppo socio-economico e produttivo del loro territorio. Accanto agli obiettivi iniziali, di incremento e di sviluppo delle fonti rinnovabili e di un uso più razionale dell'energia che spinsero il legislatore nazionale ad istituire, con la legge n. 10/1991, lo strumento dei Piani Energetici Regionali relativi alle fonti rinnovabili, l'avvento della liberalizzazione del mercato, il peso delle questioni relative alla tutela e salvaguardia dell'ambiente, dello sviluppo sostenibile e dei temi del Protocollo di Kyoto, e la devoluzione di competenze energetiche Stato-Regioni hanno determinato l'esigenza di trasformare la programmazione energetica regionale in uno strumento di programmazione strategico e interdisciplinare. Il PER della Regione Friuli Venezia Giulia, approvato con Decreto del Presidente della Regione 21 maggio 2007, n. 0137/Pres. (Legge regionale 30/2002, art. 6), elabora, anzitutto, l'analisi dello scenario energetico regionale attuale, con dati a consuntivo relativi all'anno 2003 sostanzialmente applicabili anche alla data odierna, riguardanti l'offerta di energia relativamente a fonti convenzionali, infrastrutture energetiche e fonti rinnovabili, e la domanda complessiva di energia, con infine un bilancio dell'attuale situazione elettrica regionale complessiva. Viene quindi fornito un completo quadro della disponibilità energetica regionale potenziale relativamente alle fonti convenzionali, alle infrastrutture energetiche e alle fonti rinnovabili sulla base degli studi e delle analisi svolte dai consulenti. Il PER delinea una proiezione dei principali dati energetici in assenza di interventi regionali. Fa una previsione sull'evoluzione del libero mercato energetico tenendo conto dei finanziamenti in corso, regionali, nazionali o comunitari. Vengono quindi definiti gli obiettivi di politica energetica regionale. Per ogni singolo obiettivo strategico vengono individuati i relativi obiettivi operativi e per ognuno di essi vengono individuate azioni. Il Piano passa quindi a delineare una sintesi degli scenari globali di domanda ed offerta (attuale, spontaneo e programmato) mettendoli a confronto. Vengono indicati gli investimenti necessari per la realizzazione di impianti e di interventi energetici programmati, calcolati sulla base della differenza tra le azioni previste nello scenario programmato e quelle relative allo scenario di previsione spontanea. E' previsto, infine, per ogni tipologia di fonte rinnovabile e per ogni settore di risparmio energetico, una percentuale di incentivazione pubblica al fine di rendere sufficientemente attraente l'investimento privato e al fine di avviare gli investimenti del mercato. Per attuare il Piano secondo gli obiettivi indicati e secondo le azioni selezionate vengono previste specifiche schede di programmi operativi riguardanti gli adempimenti di diverse Direzioni centrali della Regione, competenti per materia. Le schede danno attuazione sia alle azioni di incentivazione pubblica (azioni da scenario programmato), sia alle azioni comunque derivanti dagli obiettivi fissati (azioni derivate). Il PER quantifica l'impatto delle scelte pianificatorie relativamente alle emissioni inquinanti e climalteranti imputabili alle attività energetiche programmate. La Regione, a seguito della liberalizzazione dei mercati elettrico e del gas e del trasferimento di competenze dallo Stato alla Regione, ha avviato un processo di pianificazione energetica che ha portato ad una definizione concertata con associazioni di categoria, sindacati, associazioni ambientali dei principali obiettivi del Piano. 5. L'aspetto di primaria rilevanza per quanto riguarda gli impianti di rigassificazione è quello dei rischi connessi con la loro realizzazione. Per avere un quadro chiaro dei rischi di un impianto di rigassificazione è opportuno, prima di tutto, esaminare le tre direttive "Seveso" sugli incidenti industriali rilevanti. La "Seveso 1" è una direttiva europea che in Italia è stata recepita con il DPR 175 del 1988. Essa ha imposto il censimento degli stabilimenti a rischio, con l'identificazione delle sostanze pericolose. Tra le tipologie degli stabilimenti che svolgono "attività a rischio di incidente rilevante" sono compresi i rigassificatori. Successivamente, con la legge 137/97 (articolo 1, comma 1) è stato introdotto l'obbligo per i sindaci di informare preventivamente la popolazione sulle misure di sicurezza da adottare in caso di incidente. Con la "Seveso 2" (ossia il decreto legislativo 334 del 1999 che recepisce la direttiva comunitaria 96/82/CE), gli obblighi per le attività a rischio di incidente rilevante sono diventati ancora più stringenti imponendo: • per ogni stabilimento a rischio di incidente rilevante la redazione di un piano di prevenzione e di un piano di emergenza; • la cooperazione tra i gestori per limitare l'effetto domino (ossia le possibili "reazioni a catena" fra impianti vicini a rischio di incidente rilevante); • il controllo dell'urbanizzazione attorno ai siti a rischio; • l'informazione degli abitanti delle zone limitrofe; • la costituzione di un'autorità preposta all'ispezione dei siti a rischio. Infine, con la "Seveso 3", che ha recepito la direttiva europea 2003/105/CE sugli incidenti rilevanti, viene ad aggiungersi l'obbligo di consultare la popolazione interessata per una più efficace redazione dei piani di emergenza e l'introduzione di misure per la salvaguardia di eventuali vie di trasporto presenti nell'area circostante lo stabilimento. Le tre direttive Seveso impongono dunque precisi obblighi da rispettare al fine di prevenire ogni rischio possibile per la costruzione di un impianto di rigassificazione. Tali rischi sono stati ampiamente studiati ed ipotizzati da numerosi addetti ai lavori nel mondo. Fra i tanti studi internazionali cito solo, in questo testo, quello autorevole condotto nel 2003 dalla Commissione Energia della California. 6. I rischi e la loro tipologia, che sono stati sintetizzati nel paragrafo precedente, generano a loro volta il conflitto ambientale. Il conflitto genera il dissenso e il dissenso deve essere riportato a un consenso motivato e partecipato sui progetti della rigassificazione, sulla loro praticabilità e sostenibilità. L'approccio interpretativo ai fenomeni di conflitto ambientale che viene preso come riferimento è quello adottato nelle analisi di carattere generale più rilevanti condotte sulle infrastrutture energetiche in Italia relative al settore elettrico. La natura del conflitto può essere ricondotta a quattro modalità fondamentali che lo caratterizzano: - conflitto di valori; - conflitto di interessi; - conflitto di tipo cognitivo; - conflitto di rapporto. Il conflitto di valori emerge quando si ritiene che la realizzazione di un impianto o la tecnologia adottata ledano qualcosa che non è considerato negoziabile, i casi più tipici sono costituiti dalla minaccia alla salute, alla sicurezza o a particolari valori paesaggistici culturali o naturalistici. In questo caso il conflitto si struttura su elementi profondi che rendono più radicale la contrapposizione e difficile il dialogo tra le parti coinvolte. Il conflitto di interessi mette in evidenza la dimensione economica coinvolta dagli effetti che la realizzazione di un infrastruttura può avere sugli attori presenti nel territorio coinvolto. E' questo il caso degli effetti negativi sul valore dei patrimoni immobiliari e/o della compromissione delle condizioni che consentono lo svolgimento di determinate attività economiche. Il riconoscimento o meno degli interessi messi in gioco è un elemento che può incidere in modo decisivo sulle relazioni tra gli attori dello scenario di conflitto. Il conflitto di tipo cognitivo caratterizza le situazioni in cui la dinamica conflittuale si fonda sulla mancanza di conoscenza e informazioni circa gli impatti di un progetto. In questo caso le azioni volte a fornire un adeguato livello di conoscenza e informazione a tutti gli attori coinvolti, sulla natura del progetto, possono incidere sulle motivazioni dell'opposizione. Infine, il conflitto di rapporto coinvolge il carattere delle relazioni che intercorrono tra gli attori degli scenari di conflitto in termini di fiducia e credibilità, in particolare quando vi sono dei precedenti negativi nelle relazioni. Questo può essere il caso in cui l'impresa proponente o l'autorità pubblica abbiano precedenti negativi nel fornire informazioni dovute o nel garantire il rispetto delle norme di tutela ambientale. Questi quattro profili nella natura delle dinamiche di conflitto ambientale non caratterizzano in modo esclusivo le situazioni che si presentano concretamente ma sono invece in vario modo compresenti. Saper riconoscere nelle situazioni concrete quanto e come questi profili caratterizzano le relazioni tra i protagonisti degli scenari di conflitto è essenziale per qualsiasi forma di intervento. Per ciò che concerne il rischio e la sua percezione, c 'è da evidenziare che uno degli aspetti più critici che condizionano le dinamiche di conflitto ambientale e che rimanda in larga misura agli aspetti di tipo cognitivo, riguarda la discrepanza che in genere esiste tra il rischio oggettivamente definito (ambientale, sanitario, incidentale) tramite strumenti tecnicoscientifici dal proponente o dalle autorità pubbliche che lo devono valutare, e il rischio soggettivamente percepito da parte del pubblico interessato che diventa protagonista del dissenso. Ancora troppo spesso sia i proponenti che le autorità pubbliche, con funzioni di valutazione tecnico scientifica, ritengono che la mancanza di adeguate conoscenze e strumenti di valutazione del rischio effettivo da parte del pubblico interessato, diminuisca la percezione soggettiva del rischio che viene espressa come motivazione del dissenso. Un tipo di atteggiamento che in genere aggrava le dinamiche di conflitto ambientale compromettendo le possibilità di dialogo. E' invece fondamentale, sia per l'impresa proponente che per la pubblica amministrazione, comprendere quale sia la percezione soggettiva del rischio legata alla realizzazione di un impianto da parte del pubblico interessato, perché solo così è possibile dare delle risposte ai motivi del dissenso che non hanno fondamento tecnico-scientifico e che alimentano il conflitto. 7. Il problema dell'aggregazione del consenso intorno ai progetti sopradescritti, o meglio il problema politico-sociale, dell'accettabilità sociale, come si può ben comprendere, non è di facile soluzione. La cd. direttiva Seveso 3 aveva messo in luce la necessaria congiunzione tra i progetti relativi ai rigassificatori e la consultazione ed informazione delle popolazioni interessate: trasponendo, o meglio ravvivando e rafforzando a livello del diritto comunitario e nazionale quella nozione di sviluppo sostenibile che non può prescindere dalla partecipazione dall'intervento e dalla stessa presenza fisica dei soggetti che da quei progetti potrebbero trarre dei vantaggi ovvero degli svantaggi. La nozione di sviluppo sostenibile, che viene rapidamente analizzata nel testo finale permette di introdurre anzitutto il concetto di persona umana, e quindi la procedura partecipativa all'interno del discorso, più tecnico, affrontato sinora, nonché la problematica relativa alla aggregazione del consenso. 8. Prendendo a prestito dalla terminologia anglosassone il termine di stakeholders, che si riferisce a quei portatori di interesse che nella teoria della Responsabilità Sociale di Impresa sono i diretti interessati alle decisioni dell'impresa stessa pur non essendone azionisti, ho cercato di ricostruire la nozione di "consenso" in relazione alla costruzione dei rigassificatori, evidenziando limiti e prospettive della partecipazione dei cittadini. In buona sostanza, il tema dell'aggregazione del consenso può essere trattato facendo riferimento al grado ed alla profondità della partecipazione dei cd. stakeholders, e quindi dei portatori di interessi: ad esempio dipendenti delle imprese costruttrici degli impianti e delle imprese che li gestiscono una volta attivi, cittadini delle zone limitrofe, associazioni ambientaliste interessate alla tutela della salute e del paesaggio intaccato da quelle opere. La partecipazione, nell'ambito delle esperienze maturate all'interno dei circuiti dei sistemi democratico-rappresentativi, si svolge per lo più nell'ambito dell'istruttoria procedimentale, secondo gli schemi tracciati dagli istituti di partecipazione disciplinati dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e secondo alcuni Autori, come si è visto con Crisafulli e Paladin, attraverso ulteriori istituti previsti dalla stessa Costituzione italiana. Tuttavia si tratta di una tipologia di intervento e di partecipazione dei cittadini limitata al momento amministrativo e quindi esecutivo, ovvero al momento indiretto dell'esercizio della sovranità, senza alcuna influenza sul momento realmente politico, di programmazione e decisione generale. La sfida posta dalle dottrine neo-partecipazioniste (definiremmo in questi termini quegli studi che si sono occupati di analizzare i limiti del sistema rappresentantativo) ha a che fare, invece, con l'intervento e la partecipazione dei cittadini interessati, e più in generale dei portatori di interesse ad un altro livello, quello cioè della decisione, del programma, il momento più genuinamente politico. Già da qualche anno la dottrina giuspubblicistica guarda con interesse alle questioni poste dalla cd. democrazia partecipativa e dalla cd. democrazia deliberativa: ragionando astrattamente, però, ho operato una distinzione tra i termini di partecipazione e di deliberazione, soprattutto per quanto riguarda la loro struttura teoretica: è indubbio tuttavia che in entrambi i casi la partecipazione dei soggetti interessati può trasformarsi in una mera ingegneristica del consenso, in grado di favorire decisioni già prese altrove, invece di suscitare una sincera adesione piuttosto che una schietta opposizione dei cittadini, debitamente informati. In questo senso può distinguersi tra una nozione di partecipazione in senso formale ed un'altra, intesa in modo sostanziale. L'intero argomento ovviamente può dar luogo a facili fraintendimenti ed esasperazioni, in quanto la partecipazione, come ho cercato di spiegare, degenera facilmente sino a diventare strumentale e quindi formale. L'aggregazione del consenso e quindi la partecipazione in senso sostanziale dev'essere così sviluppata secondo due direttrici fondamentali: Anzitutto i portatori di interessi devono essere messi in grado di giudicare un progetto di pubblica utilità com'è un impianto di rigassificazione avendo bene in mente gli argomenti a favore e quelli contrari, e ricordando che l'approvigionamento energetico è un tema di primissimo piano in un periodo storico come quello in cui viviamo, condizionato dall'endemica scarsità di materie prime e quindi di energia. In secondo luogo ogni decisione deve essere presa nelle sedi istituzionali opportune, prevedendo una fase all'interno della quale debbano essere obbligatoriamente prese in considerazione le posizioni di tutti gli stakeholders titolati a partecipare attraverso l'iscrizione ad un registro all'uopo predisposto per un periodo di tempo stabilito. Corollari di questa impostazione sostanziale, sono invece i termini di sviluppo sostenibile, cittadinanza e responsabilità: infatti, secondo l'ottica di una partecipazione di tipo politico (e quindi non meramente amministrativa, né formale), l'orizzonte di crescita all'interno del quale quelle stesse decisioni devono essere prese dai portatori di interessi è quello dello sviluppo sostenibile, uno sviluppo cioè concreto ed integrale della persona umana e dell'ambiente in cui si trova a vivere; sviluppo possibile soltanto rivisitando lo statuto di cittadinanza così com'è inteso dal pensiero moderno, rivestendo il cittadino della responsabilità che gli è richiesta per poter veramente prendere parte ad un più ampio sviluppo dell'umanità. 9. In ragione della vicinanza del progetto al confine sloveno, secondo le disposizioni della Convenzione sulla valutazione dell'impatto ambientale in contesto transfrontaliero, fatto a Espoo il 25.02.1991 e dell'articolo 7 della direttiva 85/337, l'avvio della procedura di valutazione di impatto ambientale è stato comunicato con nota del Ministero dell'Ambiente italiano n. DSA/2006/9866 del 31/1/2006 al Ministero dell'ambiente e al Ministero degli affari esteri della Repubblica di Slovenia. A seguito della detta notifica di avvio del procedimento di valutazione dell'impatto ambientale sono state avviate consultazioni con il Ministero dell'ambiente della Repubblica di Slovenia. Nell'ambito delle suddette consultazioni, il Ministero della Repubblica di Slovenia, ha trasmesso le proprie osservazioni e valutazioni sul progetto contenute in un documento intitolato "Rapporto sugli impianti transfrontalieri prodotti dai due Terminali di rigassificazione nel Golfo di Trieste e sulla zona costiera". In particolare è stato acquisito il parere favorevole con prescrizioni n. 73 del 2008 formulato dalla Commissione tecnica di verifica dell'Impatto Ambientale VIA - VAS successivamente integrato a seguito del proseguimento della consultazione transfrontaliera con il Ministero dell'ambiente della Repubblica Slovena. E' stato acquisito, altresì, il parere n. 251 del 13.03.2009 formulato dalla Commissione tecnica di verifica dell'Impatto Ambientale VIA – VAS. A seguito della riunione di data 16.06.2009 con le Autorità della Repubblica di Slovenia, la Commissione Tecnica di Verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS ha integrato ed aggiornato il quadro prescrittivo del parere n. 251 del 13.03.2009 poi votato in Assemblea Plenaria del 03.07.2009. A conclusione del procedimento in esame il Ministero dell'Ambiente e della tutela del mare, di concerto con il Ministero per i beni culturali, con decreto n. 808 del 17.7.2009 ha pronunciato parere di compatibilità ambientale, con prescrizioni, al progetto presentato dalla Società Gas Natural International SDG su cui è subentrata la Società Gas natural Rigassificazione Italia Spa . Con ricorso numero di registro generale 564 del 2009, nei confronti: - del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare - del Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali; - della Regione Friuli Venezia Giulia; - della Societa' Gas Natural Rigassificazione Italia Spa - della Societa' Gas Natural Sdg Sa; - della Repubblica della Slovenia; - del Comune di Muggia; il Comune di San Dorligo della Valle ha chiesto l'annullamento del citato decreto n. 808 di compatibilità ambientale relativo al progetto del rigassificatore di Zaule del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare dd. 17.7.2009. Il TAR Fvg, Sez I, con sentenza n. 167 di data 11 marzo 2010, si è pronunciata in merito, affermando che la materia "rigassificatori", per la sua rilevanza in relazione alla tutela di pubblici interessi di portata generale e nazionale, oltre che internazionale (posto che coinvolge interessi anche di nazioni vicine), indubbiamente trascende quell'interesse territorialmente limitato che è il presupposto per la competenza territoriale dei singoli Tribunali Regionali. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente e ha ritienuto la propria incompetenza e ai sensi dell'art. 41 della L. 99/09 disponendo la trasmissione del fascicolo al competente TAR del Lazio, sede di Roma, per le conseguenti determinazioni, in rito, nel merito e in ordine alle spese. ; XXIII Ciclo ; 1965
BASE
In this brief report, I try to make a portrait of Greta Thunberg' life, outline the main goals of the movement, discuss the criticisms Greta has received, and reflect on my experience as a 'grandmother' activist in the FFF movement in Rome. I outline, how Greta began to worry about climate change and how she started the Fridays for Future Movement, by launching a school strike to demand action against climate change and how she gained youngsters' support worldwide. Climate strikers underline that they are scared and angry because their future is being "robbed". They take seriously the scientists' warning that we have about 12 years to make drastic changes before rates of planetary warming will lead to irreversible consequences. They ask governments to declare a state of emergency and to "tell the truth" about the environmental situation worldwide. FFF want politicians to take extraordinary measures, to reach not only the goals set in Paris in 2017, but to arrive at zero emissions. Reading the book her mother wrote and hearing and seeing little Greta speak in Rome, I was moved to see how she and her family were able to transform huge family and personal problems- which included having to deal with Greta being an Asperger, who had trouble fitting in at school, had periods of selective mutism, and refusing to eat and also to come to terms to Greta's sister severe anorexia,- into empowering opportunities for themselves and for the world, as we community psychologists maintain, all should do. I also share how I began to see the limits of identity politics that justly promoted the rights of all minorities, but also increased divides between men and women, young and old, straight and gay and fragmented all us of in different hostile tribes. Finally, I discuss why I have become a grandmother activist in FFF because I am fascinated by their efforts to build a community that attempts to go beyond identity politics that divides people into tribes, in order to unite everyone under a common urgent goal. ; In questo breve rapporto, cerco di fare un ritratto della vita di Greta Thunberg, di esplicitare i principali scopi del suo movimento, discutere le critiche che Greta ha ricevuto e riflettere sulla mia esperienza come 'un'attivista nonna" nel FFF movimento romano. Descrivo come Greta ha incominciato a preoccuparsi per i cambiamenti climatici, come ha iniziato i suoi scioperi per chiedere azioni immediate contro i cambiamenti climatici e come abbia ottenuto molto sostegno da giovani in tutto il mondo. Gli scioperanti per il clima sottolineano che sono impauriti ed arrabbiati perche' "stiamo rubando il loro futuro". Essi credono negli allarmi lanciati dagli scienziati che abbiamo solo 12 anni per fare cambiamenti drastici ed evitare che il riscaldamento globale porti a danni irreversibili. Essi chiedono che i governi dichiarino lo stato di emergenza e "dicano la verita" sulla situazione ambientale. Vogliono che i politici prendano misure straordinarie, per raggiungere gli obiettivi di Parigi 2017, e per arrivare a zero emissioni. Leggendo il libro scritto dalla madre di Greta e vedendo e ascoltando Greta qui a Roma, mi sono commossa constatando come lei e la sua famiglia sono state capaci di trasformare grossi problemi personali e familiari – come affrontare la forma di Asperger di Greta, i suoi problemi relazionali a scuola, i suoi periodi di mutismo selettivo e rifiuto del cibo, la severa anorexia della sorellina di Greta- in opportunita' empowering per loro e per il mondo, come noi psicologi di comunita'sosteniamo occorra fare. Inoltre condivido come ho iniziato a vedere i limiti di una politica identitaria che giustamente ha promosso i diritti di tutte le minoranze, ma ha anche aumentato i divari tra uomini e donne, giovani e anziani, etero e omosessuli e diviso tutti noi in diverse tribu'antagonistiche. Nella parte finale, illustro cosa mi ha fatto diventare una "nonna attivista" nell FFF romano: la mia ammirazione per i loro sforzi di costruire una comunita' che cerca di andare oltre la politica identitaria che divide la gente in tribu', unendo tutti su un urgente obiettivo comune.
BASE
2006/2007 ; L'espressione PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO (PPP) non è definita a livello comunitario e si riferisce, in generale, a forme di cooperazione tra le Autorità pubbliche e il mondo delle imprese, che mirano a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un'infrastruttura o la fornitura di un servizio. Nel corso dell'ultimo decennio, il PPP si è sviluppato in molti settori, rientranti nella sfera pubblica, per lo più riconducibile a vari fattori: in presenza delle restrizioni di bilancio, cui gli Stati membri devono far fronte, esso risponde alla necessità di assicurare il contributo di finanziamenti privati all'ambito pubblico; la volontà di beneficiare maggiormente del «know-how» e dei metodi di gestione dell'impresa; infine, va inquadrato nella dinamica più generale del ruolo dello Stato nella sfera economica, che gradualmente abbandona la figura di operatore diretto per assumere quella di organizzatore, regolatore e controllore. Quindi, l'operatore economico partecipa alle varie fasi del progetto (progettazione, realizzazione, attuazione, finanziamento), mentre il partner pubblico si concentra principalmente nella definizione degli obiettivi da raggiungere (in termini di interesse collettivo, qualità dei servizi offerti, politica dei prezzi), garantendone il controllo. Il successo di un PPP dipende, soprattutto, dalla completezza del quadro contrattuale del progetto e dalla messa a punto ottimale degli elementi che disciplineranno la sua attuazione. In questo contesto, sono determinanti una valutazione ex-ante, una ripartizione ottimale dei rischi tra il settore pubblico e quello privato e una previsione dei meccanismi che permettano di monitorare la regolarità delle prestazioni, che, se diluite nel tempo, devono potersi evolvere per adattarsi ai cambiamenti dell'ambiente macro-economico o tecnologico, nonché alle necessità di interesse generale. In linea generale, la normativa comunitaria non si oppone alla possibilità di tenere conto di tali evoluzioni, a condizione che ciò avvenga nel rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza. Premesso che la riflessione europea si posiziona a valle della scelta economica e organizzativa effettuata da un Ente nazionale o locale e si focalizza, quasi esclusivamente, sulle norme che devono essere applicate quando si decide di affidare una missione o un incarico a un terzo, lo studio realizzato, nell'illustrare la portata degli orientamenti dell'UE applicabili soprattutto alla fase di selezione del partner privato, ha posto in evidenza le incertezze e la sostanziale inadeguatezza del quadro comunitario di riferimento rispetto alle peculiarità del PPP. Pertanto, sono state formulate proposte tese alla diffusione del PPP nell'attuazione delle politiche comunitarie e nazionali di sviluppo urbano e di governo del territorio, in uno scenario di concorrenza e in un contesto giuridico chiaro (strumenti legislativi, comunicazioni interpretative, azioni finalizzate al coordinamento delle pratiche nazionali e scambio di «buone pratiche» tra gli Stati membri) e al recepimento in Italia della procedura di dialogo competitivo. Infine, una particolare attenzione è stata rivolta al PPP di tipo istituzionalizzato per lo sviluppo urbano e il governo del territorio, che implica la creazione di un'entità detenuta congiuntamente dal partner pubblico e da quello privato, considerato che la cooperazione diretta permette all'Ente nazionale o locale di attuare un livello di controllo elevato sullo svolgimento delle operazioni (che può adattare nel tempo in funzione delle circostanze, attraverso la propria presenza nella partecipazione azionaria e in seno agli organi decisionali dell'impresa comune) e di sviluppare un'esperienza propria. La scelta del partner privato, però, nel quadro del funzionamento di un'impresa mista, non può essere basata esclusivamente sulle valutazioni che attengono al contributo in capitali o alla sua esperienza, ma dovrebbe tenere conto delle caratteristiche qualitative delle prestazioni specifiche offerte. In via preliminare, le riflessioni svolte hanno chiarito il perché, nel corso degli ultimi anni, la città è tornata al centro dell'attenzione della politica nazionale, nell'intento di fronteggiare situazioni di degrado urbanistico-edilizio, accompagnate da problematiche di tipo socio-economico e da carenza delle opere di urbanizzazione e dei servizi essenziali. Poi, l'interesse è stato rivolto alla nuova progettualità in tema di strategie per lo sviluppo urbano, grazie al dinamismo di alcune Regioni nella promozione di una nuova stagione normativa nel settore dell'urbanistica e della pianificazione territoriale, in virtù della riforma del Titolo V della Costituzione, alla disponibilità dei Fondi strutturali dell'UE come incentivo economico agli intereventi e, infine, all'introduzione di nuovi risorse finanziarie e di nuove pratiche di pianificazione e strumenti di intervento introdotti dalla DIREZIONE GENERALE PER IL COORDINAMENTO TERRITORIALE del MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI. Per quanto attiene agli obiettivi della pianificazione territoriale e urbanistica, l'Italia ha adottato una serie di indirizzi generali per le aree urbane, tesi a integrare i livelli della pianificazione ambientale e territoriale, preservare gli spazi aperti o realizzarne di nuovi, promuovere funzioni integrate e garantire la coesione sociale. È orientamento consolidato che le linee di azione dovranno tendere sempre più al superamento di una pianificazione razionale fondata sulla rigida separazione delle diverse attività umane e sui relativi indici e parametri edilizi per condividere il principio dell'integrazione, che ha consentito di andare oltre alle cosiddette «zonizzazioni» in molte legislazioni regionali, in quanto caratterizzate da una eccessiva specializzazione degli usi del territorio. Anche dal punto di vista edilizio si rileva che il DM n. 1444 del 2 Aprile 1968 - pur avendo avuto l'obiettivo di corrispondere alle fondamentali esigenze umane nella costruzione degli spazi urbani e dell'abitare, attraverso gli standard urbanistici, gli indici edilizi e la prescrizione tecnico-funzionale degli edifici - risulta ormai inadeguato a garantire il mantenimento o la ricostituzione della qualità urbana, connotata da sostenibilità. È stato posto in evidenza il ruolo centrale assunto dagli Enti locali nell'attuazione delle politiche di recupero e di riqualificazione urbana. Se gli anni Sessanta e Settanta hanno avuto l'obiettivo prioritario di realizzare le attrezzature sociali di base, garantire il diritto alla casa attraverso piani di edilizia economico e popolare, sviluppare nuova imprenditoria e occupazione mediante nuovi insediamenti produttivi, gli anni Novanta sono stati caratterizzati dalla nascita di una serie di nuovi strumenti operativi, rispetto ai piani tradizionali (Piano Regolatore Generale, Piani Particolareggiati, Piani di Zona per l'Edilizia Economica e Popolare ecc.), perché meno rigidi e più adatti a gestire la complessità dei nuovi problemi di sviluppo urbano (denominati programmi complessi), quali i PROGRAMMI INTEGRATI DI INTERVENTO (PII), PROGRAMMI DI RECUPERO URBANO (PRU), PROGRAMMI DI RIQUALIFICAZIONE URBANA PER IL RECUPERO EDILIZIO E FUNZIONALE DI AMBITI URBANI (PRIU), CONTRATTI DI QUARTIERE, PROGRAMMI DI RIQUALIFICAZIONE URBANA E DI SVILUPPO SOSTENIBILE DEL TERRITORIO (PRUSST), PROGRAMMI URBAN I e II su iniziativa del FONDO EUROPEO DI SVILUPPO REGIONALE (FESR) a favore dello sviluppo sostenibile di città e quartieri in crisi dell'UE per il periodo 2000-2006 e di recente rifinanziato, al fine di concorrere alla realizzazione delle politiche di riqualificazione urbanistica dei nuclei interessati dall'abusivismo edilizio. Premesso che la concertazione fra Pubblica Amministrazione e i privati nel settore dell'urbanistica rappresenta senza dubbio uno degli aspetti più rilevanti del processo di partecipazione e uno degli esempi più riusciti di intreccio fra interessi diversi, gli studi compiuti e le riflessioni svolte hanno posto in evidenza che il PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO (PPP) ha assunto una valenza prima culturale e poi normativa: il recupero e la riqualificazione urbana sono stati principalmente processi di progettazione coordinata, di azione concertata tra soggetti e di mediazione tra i grandi obiettivi di portata generale e particolari, finalizzati a convogliare l'iniziativa pubblico-privata verso finalità di sviluppo, attraverso forme miste di finanziamento. Ciò ha consentito di far emergere un nuovo e significativo ruolo per i soggetti privati, non solo destinatari dei provvedimenti per il recupero e la riqualificazione urbana, sia nell'individuare gli interventi da inserire nel piano e sia nel raccogliere gli investimenti volti a coprire le spese di realizzazione dei medesimi. Con riferimento agli strumenti negoziali e associativi utilizzabili per attivare le collaborazioni tra pubblico e privato, puntuali valutazioni sono state svolte in merito all'impiego del PROJECT FINANCING, della CONCESSIONE DI COSTRUZIONE E GESTIONE, nonché delle altre concessioni di gestione, della SOCIETÀ MISTA PUBBLICO-PRIVATO, della SOCIETÀ DI TRASFORMAZIONE URBANA (STU), dello SPONSOR PUBBLICO e del LEASING IMMOBILIARE. Con tali strumenti le Amministrazioni Pubbliche potranno realizzare un sistema elastico di pianificazione collegato con la programmazione economica e l'accertamento delle riserve disponibili: come evidenziato, nei casi già sperimentati, alcuni interventi di recupero e di riqualificazione urbana, per la loro rilevanza, hanno cambiato il volto di una comunità, con una ricaduta positiva sulla qualità dei servizi, sulla vivibilità di un'area e sulla creazione di spazi pubblici, capaci, per le funzioni ivi insediate, di favorire processi di aggregazione o il mutamento di comportamenti sociali consolidati. Infine, una particolare attenzione è stata dedicata a una serie di strumenti di partnership di tipo associativo, tra i quali le SOCIETÀ DI TRASFORMAZIONE URBANA (STU). Esse rappresentano una novità di rilievo nello scenario italiano per quanto riguarda la fase di attuazione degli strumenti urbanistici generali: non a caso il legislatore, ferma restando la normativa sui piani urbanistici generali, ha inteso ampliare i compiti dei Comuni e ha accordato loro la possibilità di non limitarsi a prospettare il futuro assetto urbanistico, affidando ai proprietari delle aree il compito di attuarlo, ma ha permesso agli Enti locali di andare oltre e, per il tramite di società miste, di promuovere direttamente l'attuazione degli strumenti urbanistici. Dall'analisi compiuta si è evidenziato che le STU si prefiggono di combinare il potere programmatico e regolamentare della Pubblica Amministrazione con l'interesse di soggetti privati, affinché questi apportino capitale e cognizioni tecniche. Quindi, uno strumento per utilizzare le risorse e la tecnologia di operatori privati al fine della riqualificazione del territorio, anche se non hanno ricevuto una particolare attenzione dal mercato, né sono state adeguatamente promosse dalle Istituzioni, avendo avuto applicazione, prevalentemente, per studi di fattibilità sovvenzionati con finanziamenti pubblici. Gli Enti locali hanno vissuto un profondo cambiamento nella struttura della programmazione degli investimenti e hanno individuato nelle Regioni dell'Obiettivo 1 un punto di riferimento stabile per utilizzare le risorse finanziarie dell'UE. Anche a livello nazionale mutano radicalmente gli orientamenti, perché si passa da una impostazione di integrazione a livello settoriale a una logica di integrazione di tipo territoriale o funzionale, ovvero a una ricerca sempre maggiore dell'efficacia della programmazione in relazione alla valorizzazione delle risorse dei SISTEMI TERRITORIALI LOCALI (STL). Pertanto, sono stati esaminati gli effetti geo-economici delle modificazioni intervenute nella POLITICA DI COESIONE dell'UE e del maggiore orientamento strategico e sistemico della PROGRAMMAZIONE 2007-2013, la quale è fortemente orientata a rendere l'insieme delle aree regionali più competitive nel contesto della Europa allargata e della globalizzazione. Ciò comporterà che le politiche di investimento da promuovere a livello di STL, città e singoli Comuni dovranno essere maggiormente orientate alla valorizzazione dei fattori locali di competitività, occupazione e innovazione. Considerato che l'orientamento strategico alla competitività e a fare sistema ha indotto gli Organi della programmazione nazionale ad elaborare una tabella di priorità, sono state svolte riflessioni scientifiche sui percorsi da attivare per promuovere lo sviluppo economico, l'attrattività, la competitività e l'innovazione delle città e delle reti urbane; elevare la lotta alla marginalità urbana, valorizzando il patrimonio di identità; favorire il collegamento delle città e dei sistemi territoriali con le reti materiali dell'accessibilità e delle infrastrutture e con le reti immateriali della conoscenza. Altre valutazioni di sintesi hanno riguardato taluni obiettivi, collegati alle priorità, quali lo sviluppo e l'attrazione di investimenti per servizi avanzati; la valorizzazione delle eccellenze per competere a livello internazionale; lo sviluppo eco-sostenibile; la valorizzazione sociale ai fini della costruzione dell'urban welfare; l'integrazione socio-economica e il recupero fisico e dei valori storico-identitari delle aree urbane e peri-urbane marginali e degradate; l'apertura europea e l'internazionalizzazione delle città, attraverso l'utilizzo di reti digitali per la fornitura di servizi integrati tra centri di eccellenza della ricerca, della conoscenza e del partenariato internazionale; la logistica per il recupero socio-economico e ambientale delle aree urbane e periurbane, se inserita in programmi di sviluppo urbano e compatibile con i fini della politica di sviluppo regionale. Se i DOCUMENTI STRATEGICI DELLE REGIONI DELL'OBIETTIVO 1, le priorità e gli obiettivi nazionali enunciati costituiscono il contesto di riferimento al quale i STL dovranno attingere per indirizzare le proprie scelte, in termini di programmazione e di progettazione, appare evidente che i progetti «prioritari», negoziati e a un livello adeguato di fattibilità, potranno contribuire al completamento della programmazione regionale e nazionale e, dunque, concorrere con certezza all'attribuzione di risorse aggiuntive, purché capaci di integrarsi e essere sostenibili nella programmazione settoriale di riferimento e, rispetto al STL di afferenza, di aumentare l'offerta di servizi di qualità e di infrastrutture, che accrescono il potenziale di competitività. Dalle analisi compiute è emerso che se si dovranno attivare gli strumenti della programmazione strategica, territoriale e settoriale. In tal modo, sarà possibile avere chiaro lo scenario territoriale di riferimento, ovvero recepirlo se esistente, oppure completarlo o costruirlo. Quindi, particolare importanza riveste il metodo con cui gli Enti locali individueranno il settore di programmazione, che permetterà di selezionare l'ambito di rilievo e di ottimizzarne l'integrazione con quanto già previsto, evitando duplicazioni, dimensioni non ottimali o, addirittura, la inadeguatezza complessiva della proposta progettuale. L'idea da sostenere è di confrontare la propria programmazione prioritaria con una check list, che consentirebbe di compiere una sorta di valutazione ex-ante di massima della qualità della stessa rispetto al QCS 2007-2013 e di verificare cosa fare per completare il ciclo di programmazione, oltre che permettere a un Comune o a un STL di conoscere lo stato della propria programmazione, l'adeguatezza della stessa e il percorso da compiere per avviare nella giusta direzione il periodo di programmazione futuro. Utilizzando le tecniche e i metodi per valorizzare il PARCO PROGETTI LOCALE e per rilevare nuove opportunità, si è giunti a isolare due concetti di particolare valenza strategica: il completamento della programmazione assicura un aumento della fattibilità, della cantierabilità dei progetti singoli e della loro competitività in funzione dell'attrazione di finanziamenti aggiuntivi; se si riuscirà a rendere «ordinaria» la programmazione per lo sviluppo e la competitività locale, un progetto di importanza intercomunale sarà più agevole per farlo condividere e cofinanziare dagli ambiti territoriali che lo considerano essenziale. D'altro canto, nella PROGRAMMAZIONE 2007-2013 il criterio di ripartizione dei cofinanziamenti tenderà a favorire la stabilità, la certezza dei finanziamenti e le potenzialità del progetto di attrarre eventuali capitali privati a sostegno della sua realizzazione, soprattutto se garantirà un sufficiente ritorno. Il periodo di programmazione appena terminato ha permesso di sperimentare forme avanzate di decentramento della programmazione e di costruire mirati PPP, anche se le esperienze conseguite raramente sono state in grado di attrarre stabilmente attenzioni nella parte più dinamica della società civile e economica locale, suscitando, per certi versi, un atteggiamento di perplessità anche tra i potenziali partner privati: la generazione dei PATTI TERRITORIALI PER L'OCCUPAZIONE, dei PATTI TERRITORIALI DI SECONDA GENERAZIONE, del LEADER II, di URBAN, dei PRUSST, degli STUDI DI FATTIBILITÀ DEL CIPE hanno consentito di sviluppare iniziative di PPP, ma che, nel medio periodo, sono state spesso condizionate dall'assenza di integrazione con la programmazione regionale e, di conseguenza, con la mancanza della interazione con la PROGRAMMAZIONE 2000-2006. Va però anche evidenziato che quei STL che sono riusciti, nonostante le incertezze, a completare l'iter della programmazione innovativa hanno raggiunto risultati rilevanti. Infatti, l'attuale programmazione, attraverso un quadro di deleghe e di redistribuzione delle risorse più chiaro e orientato a creare coerenza fra la delega di gestione dei STL e la disponibilità di risorse per investimenti e con il supporto dei POR e degli APQ, ha cercato di razionalizzare le esperienze precedenti, valorizzandole quando necessario, ma ricostruendo il quadro di riferimento sulla base della vision regionale del modello di programmazione ottimale. Dallo scenario delineato si è osservato che taluni PPP del passato si sono trasfusi nell'attuale programmazione, in altri casi si sono sviluppate nuove esperienze più qualificanti e significative, come per le città che hanno dato vita ai PIT METROPOLITANI di grande potenzialità. Lo sforzo sin qui compiuto, dunque, per almeno un decennio, non deve essere vanificato, a meno che non si dimostri inadeguato per affrontare i problemi locali, che sono al centro delle priorità dei STL di riferimento, perché le iniziative sono sorte per utilizzare la disponibilità di risorse e, di conseguenza, non sostenuti da un adeguato PPP e da necessaria visione strategica. Dai nuovi regolamenti e dai documenti strategici, sia europei che nazionali, è emerso che l'integrazione fra flusso di investimenti pubblici e privati è uno degli obiettivi del QCS 2007-2013, perché il PPP genera un elevato effetto leva, ovvero una maggiore efficacia in termini di sviluppo degli investimenti pubblici; permette di dimensionare e progettare molte opere o infrastrutture con maggiore attenzione all'effettivo utilizzo che se ne potrà compiere, in quanto il gestore privato che si incarica anche della progettazione ha più elementi e competenze per la ottima definizione dell'investimento; consente una maggiore attenzione nella realizzazione delle opere, in quanto colui che le realizza, durante la gestione, si deve caricare anche del costo di manutenzione; rafforza la funzione pubblica, ovvero il ruolo regolatore, controllore e programmatore dell'Ente locale che, salvo casi eccezionali, non dovrebbe farsi carico direttamente della responsabilità della dimensione tecnico-gestionale degli investimenti, ma, principalmente, del loro valore sociale, civile e di beneficio atteso in termini di sviluppo. Il convincimento maturato è che per realizzare un corretto dialogo e un'affidabile cooperazione pubblico-privata, soprattutto a livello di programmazione e progettazione, sono necessari una serie di performance da parte del soggetto pubblico locale: stabilità e qualità della programmazione, al fine di attrarre buoni e investitori; trasparenza e dialogo con i potenziali investitori, selezionati da una procedura di evidenza pubblica per rispettare le regole del mercato e individuare le proposte tecniche e progettuali più adeguate, presentando le proprie intenzioni e le condizioni alle quali accetterà proposte; promozione e competenza per comprendere la validità tecnica e l'affidabilità economica delle proposte dei diversi investitori e, nel caso non fossero adeguate, richiedere, per esempio, garanzie indipendenti accessorie agli stessi proponenti, come audit sulle previsioni di entrate di una determinata operazione, oppure allargare il dibattito e l'attenzione presentando e promuovendo, a livello adeguato, la propria proposta di cooperazione con il privato, nonché costituendo un panel di esperti di settore per supportare l'Ente locale nelle decisioni con pareri non vincolanti; gestore e non costruttore, perché i PPP nelle REGIONI DELL'OBIETTIVO 1, spesso partono da una proposta di un costruttore di immobili o di infrastrutture, piuttosto che da un gestore, per far sì che un PROJECT FINANCING o una STU siano letti, non come una forma alternativa di appalto di lavori, ma piuttosto come un'alleanza che miri a massimizzare l'efficacia dell'investimento in termini di servizio reso e di sviluppo locale della competitività. L'attenzione degli Enti locali, dunque, deve rivolgersi prima alla qualità del gestore futuro e, solo subordinatamente, alla qualità del realizzatore, anche perché lo stesso gestore ha interesse ad avere un realizzatore di qualità. Le conclusioni a cui si è pervenuti è che le procedure di PPP, prevedendo un percorso difficile e spesso complesso, occorre attivarle soltanto quando effettivamente necessario per garantire la effettiva efficacia e efficienza dell'investimento e, in subordine, per la ricerca di risorse accessorie. L'elemento prevalente nella scelta deve essere la qualità dell'investimento, piuttosto che la composizione del quadro finanziario. ; XX Ciclo
BASE
Il sistema stazione può essere definito come luogo di connessione in grado di innescare una profonda relazione con l'ambiente insediativo circostante, una parte della città che ha un importante ruolo nell'organizzazione urbana, uno spazio pubblico mediante il quale l'architettura deve risolvere il problema dei flussi e nel quale l'utente può confrontarsi con funzioni diverse e connesse all'attività di trasporto, un insieme di attività che coinvolgono diverse categorie di attori ed utenti. Le stazioni dell'arte realizzate dal comune di Napoli in sinergia con Metronapoli costituiscono un nuovo modello di stazione, non solo per la mobilità ma anche per la diffusione della cultura e di nuovi valori. Achille Bonito Oliva evidenzia il valore etico ed estetico di questo progetto. Etico perché l'arte non è soltanto arredo della struttura architettonica ma interagisce con essa; visioni diverse concordano nell'aprirsi alla fruibilità comune dell'arte attraverso la valorizzazione della città, con omaggi alla sua cultura, ai suoi luoghi, alle sue tradizioni. Estetico perché tecniche diverse hanno creato un "puzzle" di linguaggi, personali e sperimentali: pittura, scultura, installazioni, frontoni e pareti di ceramica e mosaico sono divenute parte integrante della struttura architettonica, un insieme di opere d'arte che hanno creato "l'opera d'arte" consentendo agli artisti di diffondere l'arte contemporanea al grande pubblico. Un'architettura innovativa, dunque, non assimilabile a procedure standardizzate, per la quale è opportuno elaborare nel tempo una banca dati statistica fatta di "esiti" utilizzabili. Il lavoro di ricerca si pone l'obbiettivo, attraverso l'analisi dell'esposizione ai guasti, di analizzare nel tempo i livelli di vulnerabilità delle opere d'arte nel sistema stazioni e di verificare la compatibilità tecnica degli interventi di manutenzione, ma anche di acquisire dati per un nuovo modello di conoscenza che possa supportare le scelte relative ad una programmazione efficace ed efficiente della manutenzione, con impatti positivi sul controllo tecnico‐economico delle attività. Al fine di individuare, nell'ambito delle diverse tecniche applicative, modalità operative e casistiche di degrado all'attualità riscontrate dalle indagini conoscitive fin ora effettuate, la stazione "Materdei" si presta quale caso studio ottimale del nostro lavoro di ricerca. La ricerca si articola attraverso le seguenti fasi: • La conoscenza: qualsiasi strumento operativo da attuare per ripristinare una condizione prestazionale compromessa, presuppone necessariamente la costruzione di un'anagrafe descrittiva, tecnica e discretizzata, in grado di formalizzare, organizzare, conservare e trattare il corpus di informazioni necessarie a descrivere la consistenza e le caratteristiche tecniche, dell'oggetto d'osservazione. E' necessario elaborare un articolato piano di conoscenza strettamente correlato e contestualizzato all'oggetto d'osservazione che, nel caso specifico, ha una valenza complessa in quanto mette in gioco non solo la conoscenza del contesto fisico-ambientale, ma anche l'interfaccia con l'utenza, il controllo delle priorità tecnico-amministrative e la gestione delle professionalità coinvolte. Sono state pertanto analizzate le 13 stazioni dell'arte, redigendo un'identificativa puntuale delle opere d'arte presenti all'interno delle singole stazioni, dei loro autori, del materiale e delle tecniche di realizzazione utilizzate, nonché la collocazione in ambito spaziale/funzionale e la definizione dell'elemento tecnico di supporto. • La valutazione ex‐post dei danni subiti dal patrimonio artistico esistente in termini di perdita di risorse materiali, culturali ed ambientali: costituisce lo strumento di supporto alle decisioni ed allo stesso tempo l'elemento attraverso il quale valutare il livello di vulnerabilità del "sistema" stazioni ai fini della gestione del patrimonio artistico. L'approccio guida la definizione di un nuovo concetto di vulnerabilità, che, sulla base di "indicatori di vulnerabilità urbana" di tipo quantitativo e qualitativo, è in grado di esprimere in maniera efficace la complessità del Sistema Urbano dei trasporti nel quale interveniamo. Determinate, attraverso la valutazione del guasto, le variabili di vulnerabilità che vanno ad influenzare le opere d'arte, di esse si analizzano le variabili di vulnerabilità predisponenti, legate per lo più ad assenza di cicli manutentivi o ad installazioni spesso inadeguate al luogo di collocazione, e le variabili di vulnerabilità aggravanti, per le quali, sono da evidenziare la localizzazione geografica, le azioni antropiche legate all'accessibilità ed al contesto sociale nel quale si opera. • La gestione delle variabili di vulnerabilità: costituisce uno strumento innovativo ai fini dell'ottimizzazione delle attività manutentive consentendo di definire le priorità di intervento secondo il principio di conservazione delle opere d'arte. Il contributo che tale strumento fornisce è riscontrabile nell'attuazione di strategie di manutenzione preventiva, fondate sull'analisi della propensione al danneggiamento delle opere d'arte per effetto di azioni esterne e condizioni endogene in relazione all'ambito spaziale/funzionale nel quale sono collocate. L'analisi delle variabili di vulnerabilità risulta, pertanto, la via più adeguata per la definizione del complesso sistema di variabili organizzative, tecniche ed economiche che interagiscono ai fini della conservazione del patrimonio artistico delle stazioni garantendo un controllo costante sui singoli processi e sulle loro interazioni. In conclusione, la ricerca è giunta alla definizione di una strategia di gestione, mediante l'elaborazione del piano di manutenzione programmata per il quale sono state redatte schede di manutenzione, contenenti le strategie manutentive da adottare per una corretta politica manutentiva, gli interventi e le tempistiche, nonché le ispezioni, i controlli ed il monitoraggio, il tutto corredato da tempistiche ed analisi dei costi unitari di intervento. Sulla base delle informazioni contenute nelle schede sono stati elaborati scadenzario e cronoprogramma; nel primo sono state individuate, per ciascuna opera d'arte, le attività previste per un monitoraggio ed un'azione manutentiva da "effettuarsi in continuità"; mentre nel secondo, concepito in forma di quadro sinottico degli interventi, si evidenzia la loro cadenza temporale, determinando un prospetto delle attività che si ripetono ogni mese in una sorta di agenda operativa.
BASE
Nel secondo dopoguerra, in Italia i centri urbani delle pianure e delle coste hanno attraversato un periodo di grande sviluppo e attratto la popolazione proveniente dalle aree interne del Paese, alla ricerca di opportunità lavorative e di un miglioramento nella qualità della vita. Questo esodo interno – meno clamoroso di quello che avveniva sempre in quegli anni da Sud a Nord o verso altri Paesi – ha prodotto una profonda trasformazione dei territori e aumentato il divario tra le differenti aree italiane. Individuate a seconda del periodo storico come aree montane, aree svantaggiate, aree rurali, aree marginali, riprendendo una famosa metafora di Manlio Rossi-Doria risalente alla fine degli anni '50, le aree interne sono l'"osso" del nostro Paese, contrapposto alla "polpa" rappresentata dalle pianure e le coste, i luoghi dell'industria, degli scambi commerciali e degli investimenti di capitale. Senza ossatura un organismo vivente fatica a sostenersi: lo sviluppo dei distretti urbani e produttivi è avvenuto proprio grazie alle risorse provenienti dalle aree interne del Paese, risorse idriche, materie prime, forza lavoro. Tuttavia, contemporaneamente, ne ha provocato il declino. La conformazione fisica tipicamente collinare e montana, un'economia incapace di reggere il confronto con quella delle aree sviluppate e la lontananza dai nuovi centri di offerta di servizi sono alcuni dei fattori che hanno sancito il progressivo abbandono delle zone interne del Paese, con evidenti gravi ripercussioni che vanno dall'accentuarsi del dissesto idrogeologico alla perdita del patrimonio culturale. Il dibattito su questi temi è in corso da alcuni decenni, ma sembra oggi riprendere nuova linfa, anche grazie all'ideazione e attuazione di nuove politiche. Da alcuni anni, su iniziativa del Ministero per la Coesione Territoriale, è infatti attiva la Strategia Nazionale per le Aree Interne, con l'obiettivo di invertire l'attuale tendenza allo spopolamento e supportare la rinascita di questi territori fragili. Alla base della Strategia vi è la volontà di tenere sotto controllo sia la dimensione locale che quella globale, ponendo grande attenzione alle necessità dei singoli Comuni, ma promuovendone l'aggregazione, esaltando l'eterogeneità dei diversi territori, senza escludere gli scambi tra le centrale e periferico. Transdiciplinarietà, e transcalarità pongono fin da subito una evidente analogia con il progetto di paesaggio, sebbene questo non sia esplicitamente richiamato all'interno della Strategia. Scopo della ricerca è, dunque, dimostrare la validità degli strumenti a disposizione della progettazione del paesaggio nell'accompagnare e supportare, nelle diverse situazioni locali, i processi auspicati dalla SNAI. A partire da una ricognizione critica dei fenomeni in atto e dall'analisi della SNAI, la ricerca individua tre temi di paesaggio capaci di dar vita a strategie concrete per le aree interne. Il lavoro è stato sviluppato in tre parti. La prima ricompone il quadro delle riflessioni e delle iniziative succedutesi negli anni a favore delle aree interne, sottolineando i cambiamenti nella percezione delle relative problematiche e negli approcci per fronteggiarle. In particolare sono stati rilevati tre tipi di criticità. La prima riguarda il fatto che, molto spesso, le politiche volte allo sviluppo dei territori, non considerando questi nel loro complesso, hanno favorito l'accentuarsi del divario tra aree interne e aree in via di sviluppo. La seconda fa riferimento ad approcci non ancora capaci di applicare logiche place-based e, quindi, lontani dalle specificità dei luoghi. La terza, che riguarda soprattutto l'ambito della tutela ambientale, consiste nel prevalere di attitudini conservative su strategie tese alla valorizzazione delle risorse e del patrimonio esistente. A partire da alcuni dati e dall'analisi dei fenomeni in atto, la ricerca pone l'attenzione su alcune delle risorse presenti nelle aree interne, considerate i punti di qualità su cui basare le politiche di sviluppo. Questi sono costituiti in particolar modo dalle attività produttive tradizionali, dalle risorse ambientali e naturalistiche, ma anche da un nuovo modo di intendere il rapporto tra uomo e territorio. Parallelamente alla crescente consapevolezza delle problematiche delle aree interne si è andata, dunque, sviluppando una speculazione intellettuale che ne ha via via messo in risalto i valori, capovolgendo il punto di vista che le vuole subordinate alle aree centrali. Certamente, è un capovolgimento che fa leva su fascinazioni poetiche che vedono nelle aree interne un rifugio dal caos della vita contemporanea, ma anche sulla consapevolezza che esse sono una preziosa riserva di valori socio-culturali e ambientali, sempre più rari nei grandi poli urbani. Nella seconda parte del lavoro la ricerca si concentra, dunque, sulla costruzione di un atlante di pratiche, temi e narrazioni, tentando di giungere a un'interpretazione innovativa e aggiornata dell'Italia Interna. Dai festival musicali agli eventi periodici, fino alle forme più costanti di presidio legate a pratiche di ricerca-azione permanente, la tesi si interroga su quali possano essere gli impatti positivi di questi nuovi modi di abitare l'entroterra, ma anche i rischi. Quella che l'atlante propone è una riflessione su stanzialità e mobilità, identità e senso di appartenenza, rapporti codificati e nuove modalità di interazione, una fotografia dei flussi materiali e immateriali rintracciabili nelle aree interne. In tal senso, i tre temi individuati – movimento, rito e gioco – sono funzionali a dimostrare come il paesaggio sia l'infrastruttura attraverso cui generare, rafforzare e accogliere questi flussi. Le strategie di paesaggio proposte a conclusione del lavoro si fondano sulla consapevolezza che la questione delle aree interne richiede un cambio di paradigma. Queste sono territori in divenire, dei quali non può essere trascurata né l'eterogeneità, né il ruolo all'interno degli scambi tra centri e periferie. Sono paesaggi della tradizione e che, tuttavia, hanno più che mai bisogno di respirare contemporaneità. Sono "campi da gioco" dal potenziale sovversivo, proprio perché non ancora imbrigliati nelle regole e nelle logiche speculative dei tessuti urbani. Per sposare pienamente quest'ottica occorre abbandonare l'idea di una natura intoccabile, di un entroterra idilliaco da fruire solo all'interno delle proposte turistiche, e che alla minima fragilità viene, però, abbandonato, dimenticato, escluso dalle politiche di sviluppo. Attuare strategie di paesaggio per le aree interne è l'occasione per interrogarsi su come tornare ad abitare i territori difficili, come supportare le piccole comunità resistenti e alimentarne di nuove, reinterpretando la stanzialità in chiave contemporanea e facendo leva sulle pratiche di innovazione sociale di cui il nostro Paese si dimostra oggi ricchissimo.
BASE